TRAVAGLI DEMOCRATICI

Capogruppo Pd, Furia consulta ma Chiamparino decide

Al termine dei colloqui individuali il segretario piemontese è ancora in ambasce: non sa a chi affidare la guida degli eletti a Palazzo Lascaris. L'ex governatore, sornione, è l'ago della bilancia. Incastro con la vicepresidenza dell'assemblea

“Quello che ci siamo detti sarà poi quello che ciascuno di noi ha detto al segretario?”. L’unica cosa certa nel complicato percorso verso l’individuazione del capogruppo del Pd in Consiglio regionale è la data e l’ora dell’incontro degli eletti a Palazzo Lascaris con il segretario regionale Paolo Furia: domani alle 13. Il resto è nel novero delle eventualità, compresa quella di un rinvio all’ultimo minuto della riunione, se si preannunciasse poco o per nulla utile alla luce del giro di consultazioni che lo stesso inquilino di via Masserano ha condotto in questi giorni.

Un faccia a faccia dietro l’altro, compreso ovviamente quello con Sergio Chiamparino e l’ultimo con il non iscritto ma membro del gruppo Mauro Salizzoni: questo il metodo deciso da Furia per ricevere da ogni singolo consigliere indicazioni sul presidente della pattuglia dem di via Alfieri. Ma anche e forse soprattutto per sondarli su quello che sarebbe lo schema su cui lavorerebbe il biellese succeduto dopo un’interminabile vacatio a Davide Gariglio.

A più di un consigliere Furia ha messo sul tavolo l’ipotesi di un ticket tra Piemonte 1 e Piemonte 2, assegnando al primo la guida del gruppo e al secondo la vicepresidenza del Consiglio regionale. Molti hanno letto in questa soluzione il nome del garigliano Alberto Avetta quale successore di Domenico Ravetti e proprio quest’ultimo indirizzato verso la vicepresidenza. Sul punto a Furia è arrivato più di un secco diniego. E ci vuol poco a immaginare che tra i no ci sa anche quello di Daniele Valle, il quale insieme a Raffaele Gallo, Diego Sarno e forse qualcun altro ancora sostiene la tesi che a guidare il gruppo, così come a ricoprire la carica di vicepresidente debbano essere consiglieri rieletti e non matricole di Palazzo Lascaris, pur rispettando l’equa ripartizione tra Torino e il resto del Piemonte.

Posizione che certo non può dirsi disinteressata quella di Valle, il quale secondo chi gli è più vicino non s’incaponirebbe certo per guidare la truppa dem, non disdegnando neppure la poltrona occupata a lungo da Nino Boeti nella scorsa legislatura prima di succedere a Mauro Laus quando questi venne eletto al Senato. Se dovesse prevalere questa linea, per Avetta non ci sarebbero chance essendo l’attuale presidente di Anci Piemonte eletto per la prima volta. Ma, sempre secondo rumors in casa dem, sorgerebbe un problema per Ravetti nel caso Valle andasse alla vicepresidenza, carica ambìta dal riconfermato consigliere alessandrino che non pare proprio pronto a strapparsi le vesti per tornare a guidare il gruppo, tutt’altro.

Premesso che non è scolpito sulla pietra che la vicepresidenza che spetta alla minoranza debba andare al Pd e non piuttosto ai Cinquestelle, anche se il centrodestra sembra orientato a preferire un dem anziché un grillino, all’ipotesi Ravetti resterebbe pur sempre l’alternativa non priva di concrete possibilità del novarese Domenico Rossi. A quel punto per il capogruppo uscente non rimarrebbe che una possibile vicepresidenza di commissione, chissà magari proprio quella IV che si occupa di Sanità e che lui aveva presieduto prima di subentrare a Gariglio. E proprio quest’ultimo non aveva nascosto nei giorni scorsi timori di manovre per bruciare Avetta, uomo su cui il deputato dato in avvicinamento (da lui fermamente smentito) alle posizioni di Maurizio Martina lasciando il gruppo di Luca Lotti, continua a puntare magari contando anche sull’appoggio della consigliera (eletta grazie a voti del parlamentare Stefano Lepri) Monica Canalis, la quale è come noto anche la vice di Furia, oltre che collezionista di poltrone (consigliere comunale, in Città metropolitana e in Consiglio regionale).

Legittimo chiedersi come sta facendo più d’uno se lei seguirà lo schema del segretario oppure, come avrebbe detto almeno in un’occasione, si collocherebbe tra coloro che mettono il veto alle matricole. Insomma, quella domanda che circola tra il dire a Furia cosa si pensa della sua ipotesi e il fare schemi con i colleghi, non è proprio campata in aria.

Per aria semmai c’è ancora tutto il resto, a partire dal ruolo che giocherà o meno in questa partita Sergio Chiamparino. Non c’è nessuno che non si chieda se l’ex presidente deciderà di stare alla finestra oppure sarà ago della bilancia sui cui piatti ancora devono finire i nomi. Il dietrofront rispetto all’annunciato abbandono del suo seggio in via Alfieri lo ha inserito nel ristretto novero degli ex governatori che, perse le elezioni, sono rimasti tra i banchi del Consiglio.

Accadde per Enzo Ghigo che vi rimase per un breve periodo – venendo poi eletto in Parlamento – dopo la sua sconfitta ad opera di Mercedes Bresso. Dopo essere stata battuta da Roberto Cota, Bresso rimase tra i banchi dell'opposizione, battagliera in tribunale, con i ricorsi giudiziari, come in aula dove i suoi interventi arrivarono a scatenare nel novembre del 2013 la furiosa baruffa di Franco Maria Botta, capogruppo di Fratelli d’Italia, cui seguì una rissa con lo stesso Botta e l’allora numero uno dem Aldo Reschigna che finirono a terra in una scena da saloon. La zarina poi si candidò e conquistò il seggio a Bruxelles. Due precedenti, quelli di Ghigo e Bresso, cui si aggiunge ora anche quello di Chiamparino. Seguirà anche lui la loro strada, aspettando le prossime politiche, su quello scranno di Palazzo Lascaris che dopo la sconfitta aveva detto di non voler più occupare?

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