AZZURRI

Forza Italia, Zangrillo in bilico

Ad appena otto mesi dall'incoronazione, il coordinatore del partito piemontese è già in discussione. Prototipo del "nominato" berlusconiano non piace ai quadri intermedi e neppure a gran parte della dirigenza. Il peso di Cirio e la prudenza dello stato maggiore

Tra passi del gambero e mosse da gattopardo – solo per usare un paio delle metafore di Giovanni Toti – la tensione in Forza Italia, negli ultimi giorni, è salita al pari di una pervasiva incertezza. Cosa succede e, soprattutto cosa succederà dopo l’affondo de governatore ligure che ha portato Silvio Berlusconi a meno di un passo dal revocargli l’incarico appena affidato e far avvicinare come mai prima d’ora la paventata scissione? La domanda dalla risposta impossibile è facile immaginare che risuonerà anche domani nel coordinamento regionale degli azzurri. Un appuntamento che non potrà che vedere mutati sia il clima, sia la scaletta degli interventi a partire da quello di Paolo Zangrillo. A lui, reduce dal recente incontro dei vertici regionali con il Cav uscendo dal quale Toti aveva lanciato il suo ultimatum – “O avremo delle risposte concrete sulle regole, sulle primarie, sull'allargamento del partito verso l'esterno, entro la manifestazione del 6 o sarà un inutile perdita di tempo per tutti" – quella domanda verrà posta, pur sapendo che l’unica certezza è l’incertezza diffusa ad ogni livello del partito. Una cosa è certa, nessuno dello stato maggiore azzutto piemontese intende diventare carne da cannone in una guerra interna che potrebbe concludersi senza vincitori, lasciando però sul campo morti e feriti.

La stessa serenità che molti, a partire dal presidente della Regione Alberto Cirio, credevano potesse fugare il dubbio se partecipare o meno all’evento del prossimo 6 luglio al teatro Brancaccio è venuta meno con l’affacciarsi delle condizioni non negoziabili poste da Toti, virtualmente in grado di trasformare quel convegno romano nella celebrazione dell’addio a Forza Italia e dell’avvio verso la costruzione di un nuovo partito.

Insomma, per usare l’immagine che ha accompagnato le valutazioni del governatore del Piemonte circa la sua presenza a Roma nel giorno in cui a Barolo si esibisce Al Bano, verrebbe da pensare che ad oggi Cirio potrebbe decidere non solo per il concerto, ma di arrivare addirittura in anticipo per non perdersi i vocalizzi del suo cantante preferito.

Da qui al giorno che Toti ha segnato come deadline la musica può ancora cambiare. Intanto – fatto tutt’altro che marginale per le dinamiche azzurre in Piemonte – l’annuncio della presidente dei deputati forzisti Mariastella Gelmini di competere alle primarie (se e quando si faranno) aveva già rosicchiato un po’ di potenziali consensi a Toti. Lombarda, espressione di quel Nord che politicamente non vuole finire nelle braccia di Matteo Salvini, la Gelmini in una poi non troppo ipotetica trama delle dame con Mara Carfagna al Sud non solo potrebbe schiacciare il presidente della Liguria, magari accelerandone l’uscita, ma soprattutto conterebbe su un’area di consenso per nulla trascurabile in Piemonte. Rappresentata in prima battuta dalla deputata a lei più vicina, Claudia Porchietto, ma anche da altri parlamentari ed eletti nei vari enti.

Lo stesso Cirio, gravato dal peso del suo ruolo, in caso di una posizione sempre più radicale di Toti dovrà avere più di un’attenzione e più di una cautela, dote di cui non ha mai smesso di fare uso accorto e generoso. Perché ci vuole un attimo dall’essere tutti “con Giovanni” quando l’ex consigliere politico del Cav riceve da quest’ultimo l’incarico di portare il partito al congresso, a passare quasi a “Giovanni-chi?” nel momento in cui il parricidio si profila. Per info chiedere allo stesso Zangrillo che in un nano secondo ha spento gli entusiasmi iniziali.

Non è nemmeno certo che Toti verrebbe seguito nell’eventualità di una scissione anche da quei parlamentari totiani dichiarati, come Osvaldo Napoli, Daniela Ruffino e Massimo Berutti. Come accaduto per la scissione dei bersaniani nel Pd, anche in Forza Italia non è escluso che al momento di prendere la paorta qualcuno tra quelli dati per sicuri, alla fine resti.

Intanto restano molti interrogativi tra gli azzurri che domani, tenendo per buona la linea indicata da Berlusconi, cercheranno di capire se, come pare, il rinnovo dei coordinatori regionali, per la prima volta tramite elezione anziché nomina dall’alto, avverrà prima o dopo il congresso.

Ragionare guardando entro i confini del Piemonte, può anche essere utile quando il quadro nazionale del partito è a dir poco ancora affollato da variabili e ipotesi. Altrettanto utile guardare per tempo a quel ruolo che non dovrebbe più essere assegnato da Arcore, ma conquistato con i voti in quanto “contendibile”, come viene ripetuto a mo’ di mantra.

Una rivoluzione che se si concretizzerà, smentendo l’immagine di una possibile restaurazione paventata da Toti con la citazione del Congresso di Vienna, non potrà che vedere in campo in primis quei politici azzurri che possono contare su importanti bacini di consenso, abituati a cercarli e prenderli i voti, anziché attendere l’investitura. E, soprattutto in questa contesa, avrà un peso notevole il governatore: basterà a Zangrillo l’essersi completamente annullato, lascaindo campp libero a Cirio, per ottenere da questi il sostegno?

Non ci vuol molto, tra i volti noti degli eletti, a vedere profili di papabili: da quello della già citata Porchietto ad altri mister e miss preferenze come lo stesso Napoli, l’altra metà della coppia parlamentare di Giaveno, ovvero la Ruffino, oltre a non improbabili outsider. Figure in grado di adeguarsi a un sistema lontanissimo da quello che ha portato Zangrillo – al contrario del suo predecessore Gilberto Pichetto, mai misuratosi con i voti personali, le preferenze – alla guida del partito nella regione. Gli stessi suoi due attuali vice, Roberto Rosso e il biellese Roberto Pella non sono dati tra i favoriti in una futuribile competizione per il posto attualmente occupato dal fratello del medico personale di Berlusconi. Il terzo vice, Diego Sozzani, dimissionario prima delle note granne giudiziarie, è ormai fuori gioco.

Nel novero delle possibilità c’è, probabilmente, anche l’intenzione da parte di Zangrillo di essere riconfermato. Impresa non facile per chi rimane per larga parte dei quadri un carneade e non gode di grandi consensi neppure tra la dirigenza. Più o meno sottovoce, in questi otto mesi al vertice del partito, si è fatto sentire più di un commento non propriamente positivo nei suoi confronti, agevolato dal confronto con il predecessore di ben altro cursus politico.

Nessuna sorpresa, dunque, neppure per quella malcelata delusione che sarebbe all’origine di una certa freddezza da parte di Maria Rizzotti nei confronti del coordinatore. Pare che la senatrice, chirurgo plastico che prima e durante la sua carriera politica ha ringiovanito più di un vip con iniezioni di botulino, tenesse molto a diventare assessore alla Sanità nella giunta Cirio. Tanto da mettere in conto l’abbandono di Palazzo Madama. E, sempre secondo rumors che circolano tra gli azzurri, si sarebbe aspettata di più in tal senso da Zangrillo. Restando delusa da lui. Si consolerà sapendo di non essere la sola.

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