POTERE & POLTRONE

Vietti è in buona Compagnia

Qualcuno lo vede alla guida di Finpiemonte (anche se la poltrona spetta alla Lega), ma il suo vero obiettivo è la presidenza della fondazione San Paolo. I rapporti, buoni, con Appendino e Cirio. Così potrebbe soffiare il posto a Mattioli (e a Ghigo)

“Ha un profilo di tutto rispetto, sa mediare e non divide, l’uomo giusto è Michele Vietti”. Era l’aprile del 2013 e nella costruzione del governo di larghe intese affidata a Enrico Letta da Giorgio Napolitano toccava alla casella della Giustizia. Sia nel centrodestra sia nel centrosinistra l’avvocato torinese con cinque legislature alle spalle, un paio di incarichi da sottosegretario e, all’epoca, da poco meno di tre anni vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura veniva considerato il profilo ideale per via Arenula. Non andò cosi: alla Giustizia traslocò Anna Maria Cancellieri, al Viminale nel Governo di Mario Monti, e Vietti restò a Palazzo dei Marescialli. Ma quel giudizio bipartisan, quella sintesi di uno standing riconosciuto al dil à degli schieramenti, rimarrà. Pronto a rispuntare quando, come ora, il nome dell’ex vicepresidente del Csm si affaccia nell’ipotesi di un ritorno a breve in Piemonte dopo la parentesi al vertice di Finlombarda, la cassaforte della Regione di Attilio Fontana, prossima a concludersi con la scadenza del mandato a fine anno.

In realtà, Vietti dal Piemonte non se ne è mai andato: c’è dove è utile esserci, come da sempre, nella sua lunga carriera politica e istituzionale. E pure degli affari: l’altro giorno, anfitrione nel convegno di Motore Sanità – pensatoio della medicina privata, settore in cui opera il gruppo Santa Croce della famiglia Vietti (cinque strutture per circa 400 posti letto) di cui il politico dal lungo corso inframmezzato da alti incarichi istituzionali e incursioni nel sottogoverno è presidente – ha ricevuto il governatore Alberto Cirio e l’assessore Luigi Icardi in un parterre con il gotha della sanità privata piemontese.

Un iperattivismo non nuovo, né inusuale, quello di chi pur avendo sostenuto Piero Fassino nel duello contro Chiara Appendino, ed è stato chiamato dalla giunta lombarda di centrodestra (da Roberto Maroni) ha stretto con la stessa sindaca di Torino un più che buon rapporto. Osare tra gli opposti con accostamenti arditi senza venire meno allo stile e all’equilibrio è dote che Vietti non esercita solo al momento di aprire un guardaroba di cui si narrano dimensioni e contenuti infiniti. Gli tornerà, quasi certamente, utile anche nei prossimi mesi quando i rumors e le legittime ambizioni potrebbero trovare un esito concreto. Di lui, da un po’ di tempo ormai, si parla e non senza cognizione di causa come del probabile successore di un altro avvocato torinese, Stefano Ambrosini, alla presidenza di Finpiemonte. Si tratterebbe di un trasloco da una casa all’altra senza cogliere grandi differenze negli arredi, quello da Finlombarda. Vietti troverebbe, inoltre, lo stesso padrone di casa: quel centrodestra che ben conosce al governo regionale lombardo, ma anche in quello passato (più o meno lontano, di Roberto Cota, ma soprattutto ancora prima dell’amico Enzo Ghigo) del Piemonte.

Il possibile approdo alla finanziaria regionale non è affatto disdegnato dal giurista passato tra le sigle epigone della Democrazia CristianaCdu, Ccd, Udc – partito in cui mosse i primi passi politici giovanili, anche se appare ben lontano dal mostrarsi scalpitante. Da politico navigato e conoscitore delle dinamiche che si sviluppano in questi casi, ha certamente chiaro come il Cencelli dell’alleanza che ha conquistato la Regione attribuisca alla Lega la presidenza della “banca della Regione”. Altrettanto chiara, non solo a lui, quella certa scarsità di figure nel Carroccio salviniano in grado di occupare la poltrona prestigiosa, ma non certo comoda qual è quella al secondo piano di Galleria San Federico. La Lega vorrà mettere lì un suo uomo immediatamente riconoscibile come tale e non trovandolo entro i confini lo cercherà altrove, percorrendo nei fatti la strada imboccata dai lombardi con la chiamata dello stesso Vietti? Oppure sarà il suo il profilo che andrà a pennello per l’azionista di maggioranza della giunta di Alberto Cirio?

Lui non smania. Anche perché è un altro il bersaglio, quello grosso come si dice, che ha messo nel mirino non facendone ipocritamente mistero: la presidenza della Compagnia di San Paolo. È per questa partita che intende giocare, avendo già incominciato per tempo a scaldare i muscoli. Il destino di Francesco Profumo, come noto, è segnato dalla fatwa di Appendino, nelle cui mani c’è la golden share per la nomina al vertice della fondazione di corso Vittorio Emanuele. Ma se è certo il niet a un secondo mandato dell’ex ministro, più incerta la decisione che la sindaca prenderà per indicare il suo sostituto. Decisione su cui potrebbe pesare e non poco un’altra: quella della stessa Appendino circa una sua ricandidatura. L’ampio consenso che l’aveva portata alla vittoria e accompagnata per un non lungo periodo appartiene ormai al passato, che difficilmente potrà tornare. Nel caso non ci fosse più Palazzo di Città nel suo futuro, anche una decisione importante e per nulla trascurata dall’apparato grillino della Casaleggio potrebbe vedere la sindaca con le mani più libere e, chissà, con lo sguardo volto a un futuro senza il Municipio, ma con un ruolo che vada oltre a quello di mamma, moglie e imprenditrice nell’azienda di famiglia.

“La ragazza”, com’è capitato di sentirla chiamare affettuosamente da Vietti, non è certo tipo da andare in pensione a poco più di trent’anni dalla scena pubblica. E anche questo potrebbe incidere nei suoi ragionamenti sulla successione di Profumo. Nel novero dei papabili resta sempre Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria e per questo non certo vista di buon occhio dall’ala meno governativa e più movimentista dei Cinquestelle con cui Appendino deve sempre fare i conti. Non che Vietti possa godere, da quelle parti, di maggiori aperture, ma le sue capacità di mediazione e di adattamento alle situazioni più complesse potrebbero, nel caso, rendere meno complicata un’eventuale decisione a suo favore della sindaca.

Capacità che il giurista ha già esercitato con usuale abilità e risultato nel passaggio dal sostegno, in coppia con l’ex governatore Ghigo, a favore di Fassino a quello, sempre nella stessa collaudata formazione, a favore di Cirio. E anche questo potrebbe giovargli, tenuto conto che se la designazione del numero uno della Compagnia, per prassi consolidata, spetta al sindaco di Torino non è marginale il peso della Regione in una decisione che non prescinde mai da una ricerca di intesa tra i due enti.

Il quadriennio di Profumo, indicato da Fassino negli ultimi mesi del suo mandato, terminerà nella primavera del prossimo anno, ma è assai difficile si arrivi alla scadenza senza una scelta fatta con debito anticipo. Sono dunque i prossimi mesi quelli in cui si intensificheranno e saranno ancor più visibili le manovre e le eventuali trattative per la presidenza della Compagnia.

Obiettivo dichiarato di Vietti, il quale visti i tempi ristretti e gli equilibrii politici in gioco sembra meno interessato di quel che si dica a prendere il timone di Finpiemonte, anche per non rischiare di mancare il bersaglio grosso. Quello a cui starebbe puntando anche proprio il suo sodale. Spifferi riferiscono che a Ghigo non spiacerebbe affatto tornare in pista per concludere al vertice della Compagnia la sua carriera sedendo oltre che  sulla sella della bici anche su quella poltrona ambìta dall’amico Michele. Ma che non può essere per due.

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