Il gattopardo sotto la Mole

Non è facile decidere quali occhiali indossare per leggere gli ultimi avvenimenti torinesi. A seconda delle lenti usate, dell’angolatura da cui si osservano gli stessi accadimenti e della messa a fuoco è possibile farsi un’idea piuttosto che un’altra, rischiando così di male interpretare quanto verificatosi lunedì scorso in Sala Rossa.

Ho provato a riassumere i fatti con un semplice “Tweet” destinato ai social, ma ho rinunciato poiché il rischio era quello di cadere in una scontata banalizzazione del tutto, grazie a un eccesso di sintesi data frettolosamente in pasto al pubblico di Facebook.

Secondo alcuni il licenziamento del vicesindaco da parte di Appendino risulta essere la dimostrazione di una pericolosa svolta a destra della giunta di piazza Palazzo di Città, oltre a un’annunciata rinegoziazione riguardo ai beni comuni cittadini (in barba e in antitesi al programma elettorale comunale pentastellato).

Al contrario taluni opinionisti considerano il prof. Montanari, assessore all’Urbanistica, quale inconsapevole complice di un governo nazionale giallo-nero (di matrice fascista), per cui vittima di se stesso: un uomo destinato al suicidio politico già all’indomani della sua nomina nell’esecutivo subalpino 5 Stelle.

Infine, altri ancora salutano con soddisfazione la liquidazione del vicesindaco come la fine agognata della cosiddetta “decrescita felice” in salsa torinese: la rimozione, secondo la Sindaca, del “Freno a mano” che ha contrassegnato fino ad ora le decisioni dell’amministrazione subalpina. 

La vicenda, comunque la si osservi, è segnata da una consistente gravità politica da cui emerge vistosamente la vittoria del partito del “Fare” a scapito dei detrattori del “Sistema Torino”, quel modello di potere disegnato anni addietro con ricchezza di particolari dal giornalista Maurizio Pagliassotti (“Chi Comanda Torino”, ed. Castelvecchi, 2007).  

Alta Velocità (o Alta Voracità, come si chiamava l’opera negli anni ‘90), Olimpiadi e Salone dell’Automobile sono argomenti usati dalla minoranza consiliare (Pd e Centrodestra) come un mantra, al fine di costruire l’immagine di una città ferma al palo a causa di un’amministrazione grillina “Ingessata”, refrattaria alla innovazioni. Una visione strumentale non sempre corrispondente al vero.

In realtà gli organizzatori della kermesse automobilistica hanno deciso di cogliere la palla al balzo per legittimarne il trasferimento, da tempo prospettato, nella vicina Milano. Palla lanciata dal vicesindaco, grazie a dichiarazioni pubbliche in cui ha incautamente evidenziato la piena contrarietà nei riguardi di una manifestazione disordinata, poco rispettosa sia del centro storico che del Parco del Valentino (dati comunque incontestabili).

Il bilancio oggettivo del Salone non può esimersi dal considerare come nei giorni di giugno le autovetture abbiano letteralmente invaso Torino, a scapito dell’ambiente e della salute dei cittadini. L’evento ha certamente richiamato visitatori nel capoluogo piemontese, seppur in quantità decisamente minore dei 700 mila riportati dai media schierati con coloro che volevano la testa di Montanari piantata sopra una picca.

Il vicesindaco ha espresso parole troppo azzardate per questa terra subalpina. Considerazioni pesanti come macigni e dalle conseguenze immediate, compresa la parola “Fine” su qualsiasi sua ambizione di mettere mano al nuovo Piano Regolatore della Città (fatto di non poco conto). L’ultimo dimissionamento di una lunga serie iniziata con Paolo Giordana (ex portavoce della sindaca) e proseguita con il licenziamento di ben tre assessori, a dimostrazione di un’amministrazione comunale piena di tormenti poiché perennemente sospesa tra voglia di normalizzazione e rottura con il passato.

Malgrado i diversi, quanto legittimi, punti di vista, il prof. Montanari era il riferimento in giunta per una buona parte della Sinistra cittadina (memore della sua adesione alle lotte per la difesa dei beni comuni) per cui il suo siluramento è giudicato dagli ambienti radicali quale preciso segnale di rottura da parte di Chiara Appendino nei loro confronti.

Torino sembra infine entrare nell’era del Tav (a cui è venuta in soccorso la provvidenziale frana sul tratto francese della linea Torino-Parigi) ma anche nell’epoca dello svuotamento del centro storico da ogni attività commerciale che non sia prettamente turistica: in sintesi un processo di rimodernamento metropolitano incentrato sul business e sulla gentrificazione (le famiglie residenti lasciano spazio a ricchi e benestanti viaggiatori mentre i rioni popolari si trasformano in “non luoghi”).

L’annunciato sfratto della Libreria Comunardi, di via Bogino, rappresenta infatti l’ennesimo duro colpo alla “città a disposizione di tutti”. Un pugno assestato in pieno muso alla Cultura, ma anche a chi vorrebbe vivere in una Torino a misura di cittadino.

Mister No, come definito da molti suoi detrattori, è stato defenestrato ufficialmente per aver commesso il reato di lesa maestà contro il tempio dell’auto: delitto non contestato invece a quei assessori che in passato hanno assistito alla chiusura di Fiat Mirafiori senza battere ciglio. Con qualsiasi occhiale si metta a fuoco la settimana politica torinese, all’osservatore attento non può sfuggire il ghigno sottile sul volto di chi ha conquistato recentemente la Regione Piemonte.

Un ghigno a conferma del fatto che a Torino, come nel resto d’Italia, tutto cambi per non cambiare niente.

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