Uscita di sicurezza

Le sedute delle commissioni di lavoro consiliari sono spesso deserte, poiché la partecipazione è oramai un lontano ricordo: un’immagine relegata al passato, agli anni precedenti il nuovo millennio. I cittadini si sfilano dalle istituzioni, si allontanano ogni giorno di più dalla politica.

Agli elettori non interessa minimamente il tema della spesa pubblica, e poco importa se le tasse da loro versate (spesso con fatica) finiscono in contributi determinati da valutazioni puramente clientelari. Allo stesso modo sembra non incuriosire nessuno l’uso sovente improprio (simile a un saccheggio dei beni comuni) che alcuni concessionari fanno degli impianti sportivi comunali e degli immobili di proprietà cittadina assegnati.

L’attenzione popolare si risveglia solamente quando negli ordini del giorno delle aule compare il punto “sicurezza”, meglio ancora se unito alla specifica “presenza di camper nomadi”. La politica ha infatti compreso come poter sfruttare la paura collettiva (alimentandola a dovere) per assicurarsi la piena libertà d’azione, nonché il consenso (e quindi i voti).

A Destra si fabbricano di continuo capri espiatori a cui addossare il disagio sociale, mentre la Sinistra tace, scegliendo opportunisticamente di non opporsi a nessuna campagna securitaria (compresa quella attuale contro i minimarket gestiti dagli stranieri). Le cosiddette forze progressiste copiano addirittura gli slogan dei loro avversari più radicali, sperando così di non perdere ulteriore terreno nelle campagne elettorali.

Un esempio giunge, ancora una volta, da un’istituzione politica torinese dove la maggioranza di Centrosinistra vota regolarmente, quindi approva, tutti i documenti di indirizzo consiliare redatti dall’opposizione e incentrati sulla sicurezza: atti le cui premesse non sempre sono prive di tratti marcatamente xenofobi. Nelle aule è raro si affrontino realmente le cause sociali che sono alla base dei malesseri denunciati dalla cittadinanza, anzi, al contrario, sovente si propongono soluzioni che scatenano applausi, ma che si rivelano assolutamente inadatte ad incidere concretamente sullo stato delle cose.

Qualsiasi argomento che esuli dalle materie in capo alle Forze dell’ordine viene accantonato, ignorato, oppure subito passivamente dalla comunità. In compenso, la città regala ai visitatori una marcata sensazione di decadenza, di abbandono dei suoi cittadini a sé stessi, mentre le sue aree verdi si trovano in un perenne stato di assedio da parte di speculatori vari.

Lavori sono stati avviati recentemente in via Morandi, laddove un tempo si trovavano lo spazio anziani di Mirafiori Sud e la palestra popolare, per collocare un istituto professionale realizzato con fondi del PNRR (circa 3,5 milioni di euro). Nel primo giorno di cantiere sono stati abbattuti due splendidi ulivi posti ai lati dell’ingresso della struttura: bellezza distrutta dalla bramosia del profitto e nel nome della “opportunità creata dagli investimenti pubblico-privati”. Uno schiaffo assestato sul viso dei residenti, l’ennesimo, grazie al silenzio delle istituzioni territoriali.

Il Parco della Confluenza conferma ulteriormente come il business venga sempre prima di qualsiasi altra cosa. Il Festival musicale Todays, che si svolgerà a fine agosto nel Parco cittadino, si presenta come un vero e proprio choc ai danni dell’ambiente e degli animali che lo abitano (oltre che causa di stress per i residenti della vicina piazza Sofia).

L’area dovrà subire decibel altissimi, ma anche decine di mezzi a motore, un cantiere e migliaia di scarpe che faranno tabula rasa del tappeto verde. Il Festival si annuncia catastrofico pure per le tante specie di uccelli che nidificano nel Parco, ma di certo non sarà rovinoso per gli organizzatori (recentemente succeduti agli inventori della kermesse), i quali saranno invece pronti a cogliere la fioritura del profitto: utili di cassa sbocciati dalla vigorosa pianta dello sbigliettamento e dai contributi elargiti dalla Fondazione per la Cultura (ossia, dal Comune medesimo).

Torino sta andando alla deriva, portando con sé in alto mare sia i diritti dei suoi abitanti (nuovi e vecchi) che i beni comuni. L’orchestra suona assordando i passeggeri di un Titanic metropolitano in cui donne e uomini preferiscono danzare sulle note della paura, anziché guardare fuori dagli oblò e prepararsi ad affrontare il naufragio evitando di annegare.

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