SBANCATI

Unicredit "straniera" scure in Piemonte

Dei 10mila esuberi ipotizzati quasi la totalità sarà in Italia e la maggior parte riguarderà gli sportelli sul territorio regionale. Una governance internazionale, il peso dei fondi. Epilogo di un fallimento dell'establishment torinese

Su Unicredit si farà pure a cazzotti, come promesso dal segretario generale della Fabi (una della maggiori sigle sindacali), ma il rischio concreto è quello di trovarsi di fronte chi sa incassare pure i cazzotti oltre che i soldi e, quindi, ben difficilmente rivedrà quel piano di tagli che arriverebbe alla cifra, non smentita, di 10mila posti in meno. Un numero di bancari sulla via dell’uscita pari alla popolazione di una città di provincia, la cui gran parte riguarderà l’Italia e, restringendo la previsione al Paese, emerge la pressoché certezza che sarà il Piemonte a pagare il prezzo maggiore in termini occupazionali. La rete piemontese della banca “erede” della Cassa di Risparmio di Torino è quella destinata a pagare in termini assoluti il peso maggiore della sforbiciata cui sta lavorando il ceo Jean Pierre Mustier.

Un’operazione che se avrà in Italia i suoi effetti maggiori, difficilmente subirà dei ripensamenti di fronte alle proteste e financo ai metaforici cazzotti annunciati dai sindacati. Questo per una ragione molto semplice: di italiano Unicredit ha davvero più poco. La banca è governata da un francese, ha come principali azionisti fondi stranieri (Mudabala degli Emirati Arabi, Dodge & Cox degli Stati Uniti, la Banca Centrale della Norvegia Norges Bank) e tra fondi privati e sovrani circa il 75% è in mani straniere. Del 65% degli azionisti rappresentato da investitori istituzionali il 51% sono statunitensi, il 23% britannici e a scendere, solo il 4% è italiano, cui va aggiunto il 5% delle fondazioni .

Facile comprendere come al board e ai maggiori azionisti poco o nulla importi delle reazioni italiane a quella che si presenta come una delle più pesanti operazioni di riduzione del personale. Non la prima: negli ultimi dieci anni tra prepensionamenti, uscite agevolate e altre soluzioni l’istituto di credito, il secondo per importanza a livello nazionale, si era liberato complessivamente di circa 35mila dipendenti.

E a poco sembra valere il fatto che dieci dei 15 componenti del board siano italiani: oltre al presidente Fabrizio Saccomanni e al suo vice Cesare Bisoni, in consiglio siedono Lamberto Andreotti, Sergio Balbinot, Vincenzo Cariello, Elena Carletti, Stefano Micossi, Maria Pierdicchi, Francesca Tondi ed Elena Zambon. Ormai Unicredit è sempre meno italiano, ancor più sempre meno piemontese segnando un’ulteriore tappa di quella strada lungo la quale Torino e la regione hanno perso il San Paolo e adesso della banca che si mise in pancia la Crt subiranno i più duri effetti della cura Mustier.

Effetti su cui ha pattinato con abilità, ancora ieri, Matteo Salvini: “Mi preoccupano tutti gli esuberi” si è limitato a dire, aggiungendo poi in risposta a chi gli chiedeva una sua opinione sulla superholding di Unicredit e delle possibili conseguenze nel Paese, “a me se un'impresa italiana cresce e acquisisce aziende straniere, piace. Poi non entro nel merito di aziende quotate in borsa, però di solito sono le aziende straniere che vengono in Italia a fare shopping. Se c'è qualche azienda italiana che va all'estero – ha osservato il vicepremier – ad acquisire la cosa mi piace".

Cura da cavallo quella del ceo francese, ma che origina anche in quella strategia dello struzzo che ha segnato, per molti versi, il recente passato dell’istituto di credito quando a partire dagli anni Novanta incominciò la svendita o chiamala se vuoi scalata da parte degli stranieri al secondo gruppo creditizio del Paese. Anche in quel recente trascorso, anzi ben più di oggi, il Piemonte aveva nel board nomi di peso: dai vicepresidenti Luca Cordero di Montezemolo e Fabrizio Palenzona all’ex presidente di Confindustria Gianfranco Carbonato. Errori od omissioni passate che tornano in un presente che si annuncia plumbeo sulla rete Unicredit del Piemonte. E più che quella dei cazzotti all’imperturbabile Mustier, sovviene l’immagine delle bottigliate di Tafazzi.

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