MATTONE & CALCESTRUZZO

All'edilizia serve un piano

Bene il via libera a Progetto Italia di Salini per salvare Astaldi e creare un campione nazionale delle costruzioni e degli appalti con i soldi pubblici. Ma occorre investire sulle piccole imprese. "Oggi per aprire un cantiere ci voglio dai 50 ai 55 adempimenti"

Ora che Progetto Italia è stato concepito e ha ricevuto il via libera della Cassa depositi e prestiti, “braccio operativo” del Mef che gestisce i soldi del risparmio postale, il Governo non deve dimenticarsi del settore delle costruzioni vero e proprio, quello fatto da centinaia di piccole e medie imprese che da undici anni faticano a uscire da una crisi senza precedenti. “Serve un piano industriale nazionale per l’edilizia”, spiega Antonio Mattio, presidente del Collegio costruttori edili di Torino. Lungi dal mettere Salini Impregilo nel mirino (“ci mancherebbe”), l’operazione, a suo dire, “rischia di essere una pezza che non coprirà il buco e tra qualche anno potremmo essere di nuovo qui a parlare della situazione senza aver risolto un problema”. Il problema riguarda il settore dell'edilizia e delle costruzioni, ancora in una fase di stagnazione dopo i 620mila posti di lavoro persi dall’inizio della crisi (dati Ance). “Il Governo deve prendere atto che dopo 11 anni c’è ancora crisi in un settore che dà lavoro a chi vive sul territorio”. E Salini Impregilo, che fattura oltre il 90% all’estero, è in fondo marginale se si vogliono rimettere in sesto le sorti degli addetti ai lavori italiani. Quello che spiace a Mattio è che “le imprese dell’edilizia, quando sono andate in difficoltà, hanno preso i risparmi e li hanno messi in azienda, non c’è stata la Cdp a intervenire”.

Dopo i grandi, insomma, “bisogna mettersi al tavolo con i più piccoli, coinvolgendo anche gli istituti di credito, le banche: il tessuto economico-produttivo del nostro settore è fatto da piccole medie imprese. Abbiamo bisogno – ribadisce Mattio – che la politica prenda atto che servono interventi per il rilancio dell’edilizia: su altri settori sono intervenuti cercando di andare incontro con incentivi, mentre il nostro settore è stato massacrato da una patrimoniale, tra Imu e Tasi, senza eguali, dal codice degli appalti, e da una burocrazia soffocante”. Oggi, continua, “per aprire un cantiere ci voglio dai 50 ai 55 adempimenti. E non parlo della Tav, ma parlo di un condominio di sei alloggi o della ristrutturazione di una villa”. Qualcosa, tuttavia, si sta muovendo. “Bisogna dare atto al Governo che ci ha ricevuti, siamo stati ascoltati. Il governo precedente non ci riceveva. Forse è stato molto merito sul casus belli sollevato da Torino sulla Tav”, altro tema caldo. “In questo caso, le infrastrutture sono beni di carattere sociale, rendono attrattivo un Paese che le fa, attirano capitali”. Certo, con lo “sblocca-cantieri qualcosa si è fatto rispetto al passato, ma si può e si deve migliorare”.

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