AUTUNNO CALDO

Migliaia di lavoratori "sospesi", il Piemonte incalza il Governo

Una decina di tavoli di crisi fermi al Mise: da Artoni a Csp, da Arcelor Mittal alla Manital. E anche la vicenda Pernigotti è tutt'altro che risolta. Oltre 3.200 posti di lavoro in bilico. Questa, per l'assessore regionale Chiorino, è la vera priorità: "Difficile fare peggio di Di Maio"

“Non so chi potrebbe essere così bravo per riuscire a fare peggio di Di Maio ai tavoli di crisi”. Quelli per aziende che operano in Piemonte al Mise sono una decina – Artoni, Blutec, Bundy Refrigeration, Csp, Arcelor Mittal, Manital, Mercatone Uno, Pilkington Italia, Ventures e Pernigotti – e riguardano il futuro di oltre 3.200 lavoratori. 

Di fronte a un quadro del genere che racconta di una crisi mai del tutto superata e di un futuro preoccupante, guardare con attenzione e apprensione a cosa potrà cambiare, magari incominciando dal ministro, al dicastero dello Sviluppo Economico con il nuovo Governo Pd-M5s è naturale oltreché d’obbligo per chi, in Regione, di quelle crisi aziendali deve occuparsi. “Il Piemonte sta pagando un prezzo troppo alto e merita risposte ben diverse”. Ma se Elena Chiorino, assessore al Lavoro nella giunta di Alberto Cirio, boccia senza appello l’ex ministro grillino non è che si aspetti qualcosa di buono da “un Governo dell’inciucio che continuerà a fare del Mise il porto delle nebbie che è stato prima con Carlo Calenda e poi con Luigi Di Maio”.

Una prospettiva desolante, assessore.
“Purtroppo è così, il Paese e il Piemonte avrebbero bisogno di un governo sovranista che difenda le nostre aziende, che tuteli i marchi e ne impedisca la svendita come, invece, è accaduto per la Pernigotti. Una vicenda che ancora non è conclusa”.

Ma Di Maio ha annunciato che per la storica azienda dolciaria la crisi è stata risolta in tempi record, lo stabilimento resterà aperto e non ci saranno esuberi. Poi, per festeggiare, ha pure distribuito i cioccolatini.
“Io, che un’ora prima dell’incontro ero davanti al ministero a manifestare con il mio partito, Fratelli d’Italia, davanti al ministero gliel’ho poi detto che fossi stata in lui avrei usato molta più cautela”.

Teme che l’accordo possa saltare?
“Intanto è un accordo precontrattuale e a fine settembre è stata fissata una dead line: o si chiude l’intesa o salta tutto. Diciamo che è stato fatto un passo in avanti, ma la situazione va monitorata”.

A proposito di monitoraggi, al Mise sembra ne abbiano fatti pochi e molto sia sfuggito, esplodendo poi quando era troppo tardi. E’ così?
“Anche peggio. Le racconto una cosa”

Prego.
“La Manital, azienda del settore dei servizi che da lavoro a circa mille persone in Piemonte, attende da tempo i pagamenti degli enti pubblici. Io, appena nominata, ho chiesto agli enti locali di pagare direttamente ai dipendenti il dovuto. Ma ho anche chiesto a Di Maio di fare un Consiglio dei ministri in cui chiedere ai suoi colleghi di pagare i 17 milioni che devono all’azienda”.

Lo ha fatto?
“Lei che dice?”.

Capito, quindi un dialogo difficile quello col Mise?  
“Direi surreale. Tavolo per Mercatone Uno, 92 lavoratori nella nostra regione, Di Maio non c’è e chi lo sostituisce chiede a noi assessori regionali cosa pensiamo di fare per i fornitori. Peccato che il ministero non ci abbia mai detto chi e quanti siano. E’ un modo di lavorare per risolvere le crisi, questo?  Evidentemente ritenevano di risolvere i problemi con il reddito di cittadinanza, ma la ricchezza oltre che distribuirla bisogna produrla.  Però adesso abbiamo i navigator, precari che devono trovare lavoro ad altri”.

Però al Governo c’era anche la Lega. Non ha inciso come avrebbe dovuto su una questione, come quella dello sviluppo economico che pure è un tema caro a gran parte del suo storico elettorato?
“Quello che è successo, quello che non è stato fatto è  stato l’esito di un contratto, per noi siamo stati all’opposizione”.

Lei non nutre alcuna fiducia nel governo che si appresta a nascere, però i problemi restano. Cosa fa o cosa pensa di fare la Regione per le situazioni di crisi in atto e non di meno per prevenirne altre?
“Intanto mi auguro che i tavoli al ministero, adesso fermi, riprendano rapidamente e spero con persone che sappiano cosa si deve fare. Da parte mia, sto lavorando a un progetto appena imbastito, ma che va fatto bene. Innanzitutto bisogna dare alla Regione un’unità di crisi. Non un’idea originale mia ma dell’allora assessore Claudia Porchietto. Però non è mai stata formalizzata. Adesso va realizzata compiutamente e in fretta per dare al Piemonte una task force che lavori costantemente e sia in grado di intervenire rapidamente”.

Non crede sia altrettanto necessario cercare di prevenirle le crisi, oltre che affrontarle quando esplodono?
“Assolutamente sì. E’ importatissimo monitorare i focolai. Noi abbiamo un problema italiano ancor più marcato in Piemonte per il carattere sabaudo: il piccolo e medio imprenditore fa a fatica dire che è in difficoltà. Bisogna riuscire ad arrivare in aiuto di chi l’aiuto non lo chiederebbe se non quando, appunto, spesso è troppo tardi”.

Detta così sembra facile, ma probabilmente non lo è.
“Vero, è un’impresa tutt’altro che semplice. Però bisogna, innanzitutto partire da una considerazione: c’è una visione e interesse sull’innovazione, ma spesso non si riesce a innovare perché se si tolgono risorse o personale dal core business, le piccole e medie imprese rischiano di perdere lo stesso core business. Ecco che nel mio progetto entra in campo l’Università. Non solo per le materie tecnologiche: l’innovazione non è solo tecnologica, ma deve riguardare anche la governante e le strategie delle aziende. Bene, abbiamo giovani molto preparati, eccellenze che se le mettiamo a  lavorare in stretto contato con le imprese, possono intercettare segnali facendo insomma quel monitoraggio preventivo di cui c’è bisogno e nel contempo si supporta l’innovazione. In più si darebbero opportunità per evitare fughe di cervelli e offrire possibilità di lavoro nella nostra regione”.

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