GIALLOROSSI

Il Pd ha "svenduto" Torino

Sull'altare dell'alleanza di governo i dem nazionali hanno sacrificato il capoluogo piemontese. Avranno il via libera alla candidatura a Roma per Morassut. E nel nome del redivivo Chiappendino i Cinquestelle tengono il boccino nella partita del dopo Appendino

Una chiara disfatta e un segnale forse non poi così oscuro. Quell’unico posto, attribuito ad Andrea Giorgis, per il Pd piemontese nel Governo in cui non esprime alcun ministro oltre ad evidenziare lo scarso o per meglio dire inesistente peso del partito persino nel rivendicarne uno numericamente perlomeno accettabile nelle seconde file dell’esecutivo, risulta ancor più difficile da giustificare alla luce dell’artiglieria messa in campo dall’alleato grillino. L’avvisaglia di una occupazione dei posti nella squadra di Giuseppe Conte da parte dei Cinquestelle avrebbe dovuto far scattare meccanismi di allarme e reazione nel Pd. E invece la nomina delle due ministre – Paola Pisano e Fabiana Dadone, la prima torinese la seconda di Cuneo e anche questo va osservato – non hanno sortito alcun effetto nel Pd al punto da far spazio a una ipotesi più azzardata ma per nulla inverosimile, che legherebbe con un filo giallorosso Roma a Torino.

Per capire meglio basti analizzare un’altra delle nomine fatte questa mattina a Palazzo Chigi: quella di Roberto Morassut. Da sottosegretario all’Ambiente dovrà occuparsi della questione cruciale dei rifiuti nella Capitale di cui si vocifera sarà il candidato sindaco per il Pd, altrettanto probabilmente – se lo schema ipotizzato da Dario Franceschini e subito sposato da Nicola Zingaretti terrà superando inziali resistenze grilline – alleato con il M5s.

In una geografia ridisegnata sul modello del Conte bis, intravedere un possibile accordo tra alleati che metta sul tavolo un candidato dem per la successione a Virginia Raggi e una perpetuazione grillina per la poltrona di Chiara Appendino (magari con la Pisano o, perché no, persino con la stessa sindaca in carica) non è galoppare troppo di fantasia. Lo schema prefigurato da Franceschini e per nulla escluso da Piero Fassino ovvero l'elevazione ad alleanza politica del prodromico Chiappendino, certo non ha a Torino un fiero oppositore nell’appena nominato sottosegretario Giorgis. Il quale è considerato da tempo il parlamentare prediletto di Sergio Chiamparino, un dirigente che peraltro ha sostenuto il no al referendum costituzionale di Matteo Renzi. Non solo, il giurista allievo di Gustavo Zagrebelsky va ad occupare il posto in un dicastero di prestigio, certo, la Giustizia, ma piuttosto marginale per gli interessi di Torino. La sua nomina, dunque, non può essere ascritta a espressione del territorio. Non avrà voce in capitolo né sul piano per Torino area di crisi complessa, né sulle decisioni infrastrutturali che coinvolgono la città, né sulle tematiche del lavoro e della produzione che affliggono il capoluogo piemontese. Frutto di giochi correntizi, la designazione di Giorgis rappresenta una pesante ipoteca sui futuri equilibri politici che determineranno la sfida elettorale del 2021. Detta in modo brutale è il figlio prediletto del Chiappendino.

Se questa ipotesi troverà fondamento, lo sberlone ricevuto dal Pd piemontese assume ben altri significati. E che lo stesso Fassino abbia lavorato sottobanco per evitare la designazione di figure che avrebbero potuto rappresentare posizioni diverse e, non ultimo, persino fargli un pochino ombra, è un sospetto difficile da scacciare

Certamente non ha concorso ad evitare il patatrac la gestione a dir poco pasticciata della vicenda da parte del vertice regionale dem. Già l’idea della lettera aperta inviata al Nazareno in cui si chiedeva un’adeguata rappresentanza territoriale aveva mostrato una certa ingenuità, mista a supponenza, del segretario Paolo Furia. La (vecchia) politica insegna che iniziative del genere si fanno quando già si conosce il risultato positivo finale, oppure le richieste viaggiano su altri canali meno evidenti e anche per questo spesso più efficaci. Il giovane ricercatore biellese arrivato in via Masserano quando chi lo aveva candidato nutriva scarse speranze di vittoria e insediatosi in virtù di un ribaltone correntizio, tra il secondo (lui) e la terza (Monica Canalis) dei votati, ci ha poi riprovato con la trasferta a Ravenna per chiedere a Zingaretti, tra una salamella e un bicchiere di lambrusco, di rimediare all’assenza di ministri con almeno una pattuglia di sottosegretari. Due nomi su tutti: quello di Giorgis, riferimento politico degli zingarettosi per usare il neologismo del segretario, e poi quello di Stefano Lepri, colui che con il suo appoggio attraverso la sua pupilla Canalis gli aveva consentito di assumere la guida del partito in Piemonte.

A qualche parlamentare che gli aveva chiesto conto di quella trasferta, Furia pare abbia spiegato di aver fatto i nomi di tutti loro a Zingaretti, con il risultato di far imbufalire ancora di più chi di fronte a quella spiegazione non avrebbe potuto che concludere come fare il nome di tutti equivale a non farne nessuno. Scazzi e imbarazzi. Per i primi rivolgersi, fin d’ora, a Monica Canalis. “Cosa verrà a raccontarci domenica Zingaretti a Torino? Come giustificherà che il Piemonte sia rappresentato nel nuovo Governo solo dal M5s?” posta furente su facebook la vicesegretaria regionale, nei malcelati panni di ventriloqua di un Lepri che su un posto in una seconda fila ministeriale ci contava e per arrivarci aveva lavorato parecchio in questi giorni. Non paga, la non mite Canalis replica: sotto le fotografie delle grilline piemontesi al Governo scrive: “Grazie Zingaretti”. Tempi duri in via Masserano per lo zingarettoso segretario, con la sua vice. Aria pesante appena passato l’Appennino anche per il ligure Andrea Orlando che pochi giorni fa alla Festa dell’Unità aveva rassicurato “adeguata rappresentanza” per il Piemonte e per Torino.

Musi lunghi e lunghi coltelli nel partito dove neppure i più fedeli e ossequienti alla nuova maggioranza del Nazareno hanno portato a casa qualcosa che non sia, sempre parlando di numeri e non di persone, meno di un premio di consolazione. I veri vincitori, i Cinquestelle, si godono lo spettacolo. Comodamente seduti in poltrona. Ed è solo il primo tempo.

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