Era questa la priorità del Paese?

Il risveglio in una mattina di autunno può riservare grandi sorprese. La stagione delle foglie morte e dei marron glacé non solo accompagna verso l’inverno, ma evidentemente porta in grembo stravolgimenti e considerevoli scossoni del quotidiano.

Posso affermare di essere un testimone delle rivoluzioni di ottobre. Non ho partecipato alla presa del Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo, per pure ragioni anagrafiche, ma alla vigilia del voto parlamentare sulla riforma delle Camere mi sono ritrovato a condividere appieno le opinioni espresse in merito da Alessandra Mussolini.

Uno scombussolamento totale mi ha colto nello scoprire l’alleanza naturale sorta tra me e l’ex europarlamentare di estrema destra sul tema “Taglio dei Senatori e dei Deputati”. Non avrei mai immaginato che “nel mezzo del cammin di nostra vita” mi sarei ritrovato in mezzo a una selva oscura annuendo nell’ascoltare un intervento Tv della nipote, nonché apologeta, del fondatore del Fascismo.

La Mussolini, durante l’intervista, ha evidenziato l’attacco alla democrazia portato dalla proposta (all’epoca il provvedimento era ancora da approvare) di riforma costituzionale che prevede il consistente taglio numerico di rappresentati elettivi nelle due Camere. Immediatamente ho ritenuto condivisibile la sua osservazione, per poi lasciare spazio allo stupore e al disorientamento.

La mannaia caduta su deputati e senatori si somma a una serie di modifiche della Costituzione, e a clamorosi tentativi falliti (su tutti quelli di Matteo Renzi) che di fatto riducono il potere dell’elettorato italiano, per consegnarlo in mani terze. L’eliminazione delle Province, composte da consiglieri scelti dalle urne, e la creazione di organi di governo affidati a elezioni di secondo grado (quali sono le Comunità Montane), sono state importanti premesse a una visione più ampia: a concetti voluti con forza per creare una mega casta di intoccabili, a un’oligarchia di “eletti” disposta a rispondere solamente a chi detiene il potere economico.

Ridurre drasticamente la quantità di appartenenti a Camera dei Deputati e Senato rafforza infatti le pericolose contraddizioni generate dal malcostume politico nostrano. Tra queste spicca l’assenza pressoché assoluta di regole destinate al controllo delle spese pazze affrontate dai candidati in campagna elettorale: mancanza che genera una super élite di amministratori pubblici nazionali, e regionali, dall’importante capacità di investimento monetario.

L’antipolitica ha paradossalmente indotto scelte curiose nei partiti (o nei movimenti) che hanno cavalcato il fenomeno stesso. Alla massa è stata costantemente concessa l’opzione di risparmiare sui processi di garanzia del sistema democratico piuttosto che puntare a colpire, come si sarebbe dovuto fare, i benefici concessi agli eletti e le nomine politiche nelle società partecipate dallo Stato, o degli enti territoriali.

Attualmente le campagne elettorali si contraddistinguono per i costi elevatissimi affrontati dagli aspiranti deputati e senatori per comunicare agli elettori la loro scesa in campo. L’entità delle spese, quasi tutte inerenti la comunicazione, consente esclusivamente ai benestanti (oppure a chi ha appoggi particolari) di poter sperare in uno scranno parlamentare.

A riforma della rappresentanza approvata, il fenomeno del “caro elezioni” è destinato a rafforzarsi incredibilmente, trasformandosi nella linea di demarcazione che separa coloro che dispongono di importanti risorse, per cui idonei a entrare in Parlamento, da tutti gli altri che non accederanno mai ai vertici della rappresentanza democratica.

Una nuova classe politica anti-casta punta più o meno inconsapevolmente al reiterare del suo successo, creando una ceto esclusivissimo di eletti: drammatico ossimoro.

La melassa di idee, cucinata nell’illusione che Destra e Sinistra non esistano più, genera mostri sempre in agguato, pronti ad aggredire diritti e visioni complesse della società. Da tempo è invero venuta definitivamente a mancare una progettualità del futuro ad ampio raggio. Nessuna riforma guarda oltre il naso, e i patetici interessi di parte, di chi la redige.

I temi della rappresentanza, della partecipazione, delle garanzie delle minoranze, della tenuta delle Istituzioni nei riguardi delle tentazioni autoritarie del sistema sono scomparsi dal panorama politico, e hanno lasciato il posto al piccolo cabotaggio e ai “furbetti di quartiere”. La parola d’ordine di partiti e movimenti è prendere voti a tutti i costi, ripercorrendo così il racconto dello scorpione portato da una riva all’altra dalla rana: annegare, ma non poter fare a meno di pungere a morte l’anfibio che lo trasporta.

Gli statisti (le donne e gli uomini di Stato) si sono estinti. Al loro posto sono comparse piccole persone contraddistinte dall’arroganza, sovente dall’incompetenza, dalla voglia di emergere e dalla capacità servile posta a favore di chiunque garantisca miserevoli posizioni di privilegio.

Trecentoquarantacinque parlamentari in meno. Le casse delle Stato sono salve e ancor più lo è quella demagogia populista utile a prendere consensi.

Solamente 14 deputati hanno votato contro alla riforma costituzionale taglia parlamentari. Una manciata di nostri rappresentanti che probabilmente si è chiesta: “Era davvero questa la priorità del Paese?”.

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