FINANZA & POTERI

Terremoto in Ubi Banca,
scosse fino a Cuneo

Il processo contro i vertici del gruppo bancario procede rapidamente e un'eventuale sentenza di condanna travolgerebbe la governance. Finora la fondazione Crc di Genta è stata alleata di Massiah

Il processo contro i vertici del gruppo Ubi Banca, in corso presso il Tribunale di Bergamo, procede velocemente; le udienze sono quasi ultimate e la sentenza potrebbe essere emessa a breve, in tempo utile per evitare la prescrizione. Come noto, i reati contestati all’amministratore delegato Victor Massiah, al presidente emerito di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli e a una trentina di ex amministratori e dirigenti sono assai gravi: ostacolo alle attività di vigilanza, manipolazione dell’assemblea di rinnovo cariche del 2013. Di udienza in udienza, a prova si aggiunge prova. Oltre ai verbali delle riunioni segrete, ingenuamente tenuti da uno dei componenti del patto di sindacato occulto costituito da bresciani e bergamaschi per suddividersi la governance del gruppo, al di sopra degli organi societari, vi sono testimonianze dettagliate di direttori di filiale. Tali testimonianze confermano le procedure attraverso le quali, con il coordinamento e la supervisione di una dirigente centrale, venivano illegalmente raccolte e smistate migliaia di deleghe in bianco, a disposizione dei vertici uscenti, consapevoli di rischiare la sfiducia a causa delle pessime performance di conto economico. Alle testimonianze dei responsabili di filiale se ne sono aggiunte, ultimamente, numerose altre di soggetti diversi, coinvolti a propria insaputa nell’assegnazione delle deleghe.  In caso di condanna, in base alle direttive della Banca Centrale Europea è prevedibile che a Victor Massiah non vengano più riconosciuti i requisiti di onorabilità e indipendenza richiesti ai vertici di banca di sistema, qual è Ubi Banca.

Riavvolgiamo  il film. Il gruppo Ubi Banca era stato costituito nel 2007 in seguito alla fusione tra il le Banche Popolari Unite, di Bergamo, e il gruppo Banca Lombarda e Piemontese, di Brescia, per evitare una scalata ostile contro quest’ultimo da parte del Santander. Banca Lombarda era una Spa, Bpu una popolare, nella quale in allora vigeva il voto capitario; il gruppo bresciano fu incorporato in quello di Bergamo. Ma entrambi si accordarono per continuare ognuno a comandare sulle banche controllate, nelle rispettive aree di riferimento. Fu istituito una sorta di patto di sindacato occulto, gestito da un comitato ristretto (tre di Bergamo, tre di Brescia, tra i quali Bazoli), che si riuniva in segreto presso sedi private, per concordare a monte tutte le decisioni di competenza degli organi statutari del gruppo e delle sue banche.

Dal 2007 ad oggi c’è stata una distruzione di valore: il titolo è passato da 20 a 2,5 euro. Nel 2016 era stato costituito il cosiddetto “bancone”, istituto unico che incorporava le otto banche operative sul territorio nazionale, per realizzare economie di scala. Da alcuni anni l’unica area che produce redditività è quella di Bergamo; il fatto nuovo è che i bergamaschi hanno perso la pazienza, e con loro un nutrito gruppo di azionisti di Brescia, tra i quali la famiglia Gussalli Beretta. Il vecchio “patto occulto” si è dissolto.

Cinque grandi azionisti bergamaschi, ciascuno con una quota pari o superiore all’1%, hanno costituito il Car (Comitato azionisti di riferimento); ad esso hanno aderito due storici azionisti istituzionali: la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, presieduta da Giandomenico Genta, legato a doppio filo (politico e territoriale) a Giovanni Quaglia, presidente della Fondazione Crt (sinora Genta era stato molto vicino a Massiah, ma viviamo tempi di cambiamento...), e la Fondazione Banca del Monte di Pavia. I bresciani facenti capo a Bazoli ed il bergamasco Emilio Zanetti, già presidente della Banca Popolare di Bergamo e di Bazoli fedele alleato, sono stati tagliati fuori, in quanto detentori di quote inferiori  all’entry level fissato all’1%. Per la prima volta Bazoli, da sempre un modello di understatement e riservatezza, ha espresso una forte e pubblica protesta.

Il Giornale di Brescia ha scritto che “la nascita del nuovo patto di consultazione mina alle fondamenta” il bergamasco “patto dei mille” e mette in discussione “l’apporto centenario di matrice bresciana alla storia della banca”. Il pericolo, secondo il quotidiano, è quello di “dissipare il patrimonio di radicamento dei diversi territori”; critiche anche alla famiglia Beretta, “che si smarca dalla storia centenaria della banca”. Conclusione: “Brescia non può restare indifferente. Se ritiene di avere ancora qualcosa da dire, lo faccia ora”. Massiah è da sempre in quota bresciana; di conseguenza, al di là delle vicende giudiziarie, il suo incarico è quantomeno traballante.   La maggioranza del capitale di Ubi Banca è controllata da fondi equity internazionali, che ne detengono il 53%. Sinora i fondi non hanno ritenuto di sostituire la governance del Gruppo, ma potrebbero cambiare idea, in seguito ai recentissimi e ai prossimi sviluppi. Se al loro 53% si aggiungesse il 17% del Cab, per i bresciani di osservanza bazoliana e per Massiah non ci sarebbe storia.

Una possibile variante, a medio termine: l’aggregazione con Bpm (Banca Popolare di Milano), e in via subordinata con Mps (Monte dei Paschi di Siena). La Banca Centrale Europea ritiene fondamentale la realizzazione di processi di fusione tra banche di sistema, e per l’Italia Ubi e Bpm appaiono partner complementari, con molte potenziali sinergie nelle aree più produttive del Paese. È stato anche ipotizzato l’assorbimento dell’istituto senese in Ubi, ma quest’ultima ha smentito di avere interesse per l’operazione, eventualmente riproponibile se si unissero Ubi Banca e Bpm.

La fusione, per adesso, è stata ipotizzata dai giornali finanziari ed i vertici di Bpm non hanno escluso di prenderla in considerazione, ma solo nel medio termine. Secondo gli osservatori si porrebbero tuttavia due problemi non di poco conto. Innanzitutto, Ubi Banca avrebbe necessità di un aumento di capitale, a differenza di Bpm; e non è detto che gli azionisti rispondano positivamente. In secondo luogo si porrebbe il problema di chi comanda: Milano, Bergamo, Brescia o Verona? Difficile che sia Brescia, ed ancora più improbabile che Massiah sia ancora della partita.

Quale ruolo giocherà Cuneo e, soprattutto, quali potranno essere gli effetti negli equilibri di potere che dalla Fondazione cuneese, azionista di riferimento con  il 5,9% delle quote, si allungano negli assetti del Gruppo? Nell’attuale cda, presieduto dall’ ex ministro ed ex sindaco di Milano Letizia Moratti, siedono due rappresentanti: il presidente della Camera di Commercio di Cuneo (in scadenza) Ferruccio Dardanello e la “torinese” ma con radici famigliari saviglianesi Francesca Culasso, docente di Economia aziendale all’Ateneo subalpino. Il terremoto ha come epicentro Bergamo ma le scosse si avvertiranno molto nettamente anche nella capitale della Granda.

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