TRAVAGLI DEMOCRATICI

Pd, lo spettro della Ditta inquieta gli ex renziani

Dopo Bologna il partito vira a sinistra e mette in allarme la componente riformista. "Difficile condividere certe posizioni", afferma l'ex segretario regionale Gariglio. E chiede alla dirigenza di garantire pari "agibilità politica" a tutte le culture

Uno spettro si aggira tra gli ex renziani del Pd. E’ quello della Ditta. Lo ius soli sbattuto con malagrazia da Nicola Zingaretti sul tavolo di Bologna con gran scorno di Stefano Bonaccini, la bocciatura della terza via nel giudizio severo di Andrea Orlando in una pedissequa ripetizione del concetto espresso pochi giorni fa da Massimo D’Alema, e poi quell’abiura neppur tanto velata di quanto fatto negli ultimi governi a guida Pd, soprattutto quello di Matteo Renzi, e il cospargersi il capo di cenere guardandola spinta da un vento che spira verso sinistra.

Bologna non è stata soltanto questo, ma è questo che preoccupa quella parte del Pd riunita in Base Riformista, dove stanno gli ex renziani che non hanno seguito l’ex premier in Italia Viva. Quelli, insomma, che non vogliono il Pd tornare ad essere i Ds. E temono questo ritorno al passato. Non senza ragioni. Anzi diventando, questo spettro in veste di allarmante incognita, una delle ragioni se non la principale dell’assemblea che la componente guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti terrà sabato 30 novembre a Milano.

Il rilancio dei temi dell’innovazione economica e del pluralismo riformista, obiettivo dell’assise meneghina, non potranno che essere declinati e allargati alla luce di quel che molti, in questa parte del Pd, hanno colto – e non potevano fare altrimenti – in più di un intervento tra quelli digeriti a maggior fatica. “Legittimi, come legittimo non condividerli”, puntualizza Davide Gariglio confermando quel che non poteva non accadere e che gli stessi ex renziani non si erano illusi restasse un’ipotesi: un Pd che se non troverà giusto bilanciamento proprio nella vasta e maggioritaria nei gruppi parlamentari area cui il deputato torinese appartiene si proietterà verso il passato diessino.

“Noi vogliamo stare nel Pd che faccia il Pd – spiega l’ex segretario regionale – un partito che non è solo di una parte, ma si propone di mettere insieme tutte le culture riformista, quelle più di sinistra, quelle di area cattolica, laica, ambientalista. Non è questione di fare polemiche, ma di rimarcare un fatto importante”. E se il consigliere regionale Alberto Avetta, un altro esponente della corrente che in Piemonte ha il suo coordinatore nel deputato Enrico Borghi, pone l’ineludibile questione dei “confini dell’agibilità politica” in seno al partito di Base Riformista come uno dei punti della discussione nell’assise di Milano (e conseguente messaggio a Zingaretti), è ancora Gariglio a chiarire come sia necessario chiarire la visione e la prospettiva. “A Bologna si è parlato molto di redistribuzione del reddito, ma poco di come crearlo”.

Rivolgersi alle fasce deboli certamente, tornare – come recita un mantra stanco – nelle periferie, certo, ma interloquire e rappresentare chi il reddito lo può creare. Insomma, la classe operaia forse finita in paradiso e sostituita da un’ancora più ampia e variegata fascia di popolazione che fatica ad arrivare a fine mese non può essere il solo interlocutore di un partito che parla sempre di più a più voci, spesso dissonanti. Non possiamo essere solo il partito dei dipendenti pubblici e dei pensionati, è stato ripetuto a Bologna da chi avrebbe fatto volentieri a meno di scoprire che per Orlando le bandiere rosse, “parte della nostra storia”, andrebbero rivalutate.

Piuttosto, nota con una certa severità Gariglio, andrebbero rivalutate, rimeditate, tesi come quelle di chi “ho sentito dire: abbiamo sbagliato tutto. E no, possiamo aver fatto degli errori, ma non abbiamo sbagliato tutto. Abbiamo fatto tante cose buone, anche nella logica di chi nel partito è molto più a sinistra di me, di noi. Nella scorsa legislatura abbiamo varato leggi sulle unioni civili che nessun altro mai aveva fatto. E su quel tema Renzi pose la fiducia. Però nessuno a Bologna ha detto come ci si sarebbe aspettato: un grande risultato raggiunto, compagni”.

Tra Bologna e Milano la distanza potrebbe essere più ampia di quel che si possa pensare, “molto se non tutto dipenderà da Zingaretti – mette la mani avanti, con la necessaria dose di speranza, Avetta – Credo che dovrebbe essere grato per l’apporto che noi di Base Riformista vogliamo dare al partito. E non si riduca la cosa a una questione di posti, si sbaglierebbe. Io penso che sarebbe folle se il segretario non tenesse conto di questa disponibilità”. E se nel capoluogo emiliano “il taglio è stato parecchio di sinistra”, nella vasta componente di Lotti e Guerini c’è già chi parla di una “controffensiva” milanese tra una decina di giorni. Il ritorno al passato, a uno dei due elementi della fusione a freddo da cui nacque il Pd, non è cosa per chi è stato renziano ma non per il fatto di non aver seguito Renzi è disposto a sventolare le bandiere rosse dell’ex guardasigilli e cancellare come un’onta l’esperienza di governo finita con la sconfitta al referendum.

Ma c’è un’altra sconfitta che il Pd, in Piemonte, deve cercare di evitare ripetendo quanto successo nel 2016. “Nessuno nel partito a Torino pone in dubbio che i Cinquestelle abbiano governato e governino male la città”. Con questa premessa e la classificazione a “surreale e inutile” la discussione su “un possibile sostegno del Pd a una ricandidatura di Chiara Appendino”, Gariglio mette sul tavolo il ruolo del Pd quale “alternativa ai grillini” e avverte del rischio che si corre rimanendo in questo dibattito: “Il nostro problema a Torino non sono i Cinquestelle, che per come amministrano la città sono fuori partita. La vera competizione sarà, per noi, con il centrodestra. Per questo dovremmo cercare di calcare di più i quartieri popolari dove la Lega vince, i mercati, le strade”. Quella che nella geografia del Pd collega Bologna a Milano potrà correre lunga, ma non è detto diritta. Gli ex renziani che non vogliono morire diessini sanno (e per questo temono) che una svolta troppo decisa a sinistra li porterebbe sotto l’insegna della Ditta.

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