EMERGENZA SANITARIA

Gaffe, arroganza e disorganizzazione: sotto accusa il capo dell'Unità di crisi

Dalla trincea dove si combatte contro il virus cresce la protesta verso Raviolo. A Vercelli "fuoco amico" di Fossale. Dura reazione dei medici di famiglia, mentre il sindacato Anaao presenta un esposto in procura per la carenza di protezioni e presidi

Mentre in Lombardia arriva Guido Bertolaso, chiamato come consulente per l’emergenza coronavirus dal presidente della Regione Attilio Fontana, in Piemonte continuano a piovere critiche sul capo dell’Unità di Crisi Mario Raviolo. Sono molti a mettere nel mirino il direttore del 118, che certo non ha mancato di fornire motivi per un acuirsi di una tensione tra il vertice della macchina dell’emergenza e chi sta in prima linea. Di ben altro c’è bisogno in questo momento: certamente più di mascherine e altri presidi a protezione di medici e infermieri piuttosto che di piccate comunicazioni e lettere, per non dire di interventi spettacolari a favore di telecamere, debitamente allertate.

Ma non è solo (si fa per dire) l’ormai noto arrivo di Raviolo, elitrasportato, a Tortona e ingresso con autorespiratore nel convento delle suore a far salire a livelli di guardia la tensione di gran parte del mondo medico piemontese, ormai da giorni sotto stress e in condizioni di lavoro spesso senza le dovute protezioni. Senza voler mettere in discussione la necessità della dotazione, sicuramente necessaria, usata dal dirigente per verificare la situazione all’interno del convento tortonese, non può che apparire stridente quella maschera con quelle che ormai molti medici di base sono costretti a costruirsi da sé con materiali di fortuna.

Vero, adesso stanno arrivando, a migliaia le prime realizzate dalla Miroglio. Ottima iniziativa e chapeau alla rapidità con cui l’azienda tessile piemontese si è messa a disposizione e riconvertito parte della produzione colmando una lacuna tanto grande quanto grave. Ma nell’attesa, e sono passati giorni, il sistema si è imballato proprio su quel che non sarebbe dovuto accadere. Non solo ai medici di famiglia. Negli ospedali, soprattutto in quelli con il maggior numero di pazienti colpiti da covid 19, mancano da giorni gli indispensabili ricambi dei dpi, i dispositivi di protezione individuali. Mascherine usate per tempo ben superiore a quello previsto, custodite gelosamente negli armadietti, perché se la perdi o qualcuno ha la malaugurata idea di prendersela, un’altra non la trovi.

Esagerazioni? Manco un po’. Non sono fake news i messaggi, verificati, di medici e primari, tantomeno l’esposto presentato ieri sera all’Ispettorato del Lavoro e alla Procura della Repubblica da parte dell’Anaao-Assomed in cui si denuncia “la persistente grave carenza di dispositivi di protezione", in particolare di mascherine e la richiesta affinché "le autorità vigilino sulla tutela della salute degli operatori sanitari”.

Chiunque abbia un minimo si sale in zucca non si azzarderebbe a dire che coordinare un’Unità di Crisi, una macchina sanitaria in piena e purtroppo crescente emergenza, sia cosa semplice. Ci mancherebbe. Così come nessuno potrebbe immaginare un comandante che cazzia l’intero battaglione perché due soldati sono rimasti in branda anziché presentarsi all’adunata. Si richiamano e si puniscono loro. Magari assicurandosi, prima, che tutti abbiano scarponi e divise.

Invece la lettera inviata da Raviolo ai presidenti degli Ordini in cui si segnalano “numerosi casi” in cui il medico di medicina generale avrebbe risposto a suoi assistiti di chiamare il 118 “in quanto non esegue la visita domiciliare” ha avuto l’effetto che, in questa situazione, si sarebbe dovuto evitare. Alla richiesta del capo dell’Unità di Crisi a “un intervento urgente per ricondurre le attività dei medici di medicina generale a compiti istituzionali propri”, la Fimmg regionale ha risposto ritenendo “grave che chi assume l’incarico di dirigere l’Unità di Crisi possa commettere evidenti errori di valutazione e cedere facilmente all’emotività e alla frustrazione”. Rivolgendosi al presidente della Regione Alberto Cirio, il segretario del sindacato Roberto Venesia chiede di “porre rimedio”, rinnovando la richiesta di “azioni coraggiose, tempestive e sagge” da parte di chi ha la conduzione della macchina dell’emergenza.

Mentre si vocifera di tensioni, pure quelle opportunamente evitabili, tra Raviolo e il direttore regionale Fabio Aimar, certe e durissime sono le parole rivolte, da medico a medico, da Pier Giorgio Fossale, “medico di famiglia di Vercelli ricoverato con polmonite in ospedale, uno di quei medici che i suoi fans definiscono fancazzisti e ricettari”. Fossale, è il presidente dell’Ordine dei medici di Vercelli, guida l’Azienda turistica locale di Biella-Vercelli- Valsesia, personaggio molto noto in provincia ed esponente del centrodestra, per dieci anni è stato assessore nella giunta di Andrea Corsaro. La sua lettera, pubblicata sulla pagina facebook di Raviolo, è quella di un ferito al fronte che ha combattuto fino all’ultimo. “Fino a giovedì giorno del mio ricovero ho sempre visitato con una mascherina che mi sono procurato da solo fin dal 24 febbraio. Probabilmente Lei non terrà in nessun conto di quanto le scrivo – dice rivolgendosi al coordinatore dell’Unità di Crisi – non essendo esclusivamente elogiativo del suo lavoro. Lavoro, badi bene dottor Raviolo, che io apprezzo rendendomi conto della complessità e difficoltà”. Altre ne ha incontrate lui, come moltissimi medici di famiglia: “Io non ho avute tute protettive né altri presidi di protezione ma ho sempre svolto il mio, consapevole dei rischi che correvo. Sono un medico, ho una famiglia anch'io e sono diventato nonno da 20 giorni. Ora sono qui in un letto di ospedale magnificamente assistito da tutta l'equipe delle malattie infettive del dottor Silvio Borrè un medico che non ama i riflettori o le prime pagine dei media ma solo il suo lavoro che esercita con scrupolo e dedizione”. Accorata e drammatica la chiosa: “Io le chiedo solo rispetto e la giusta attenzione al lavoro dei medici di famiglia che, mi consenta, meritano più attenzioni e mezzi di protezione. Tutto qua. Le auguro di continuare il suo lavoro con quello spirito che ha sempre animato il mio, finché mi ha portato in un letto da ospedale a combattere contro una polmonite”.

Un altro medico ha spiegato così l’impegno cui è stato chiamato: ““Non potevo rifiutare. Voglio dare una mano nella epocale battaglia contro il Covid-19. La mia storia, tutta la mia vita è stata dedicata ad aiutare chi è in difficoltà e a servire il mio Paese”. Si chiama Guido Bertolaso, lavorerà gratis per la Lombardia. Chissà se in Piemonte qualcuno aveva pensato di chiederglielo? O forse lo avevano già tagliato fuori i confini regionali, spesso provinciali, in cui sono state ristrette tutte le ultime scelte per i vertici della sanità piemontese.

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