EMERGENZA SANITARIA

Mascherine, trovarle è un'impresa. Privati più efficienti della Regione

Da domani obbligatorie per gli addetti alla vendita e tra poco toccherà a tutti indossarle, ma dopo due mesi di emergenza sono ancora merce rara. L'assessore Icardi assicura che la situazione è sbloccata. Non la pensano così medici e operatori sanitari

“Vogliamo dare noi a ogni piemontese una mascherina, vogliamo che ci sia una distribuzione capillare. Trovare le mascherine è difficile per i cittadini, oltretutto costano tantissimo e noi non possiamo dimenticare che stiamo facendo stare la gente a casa da un mese e molte famiglie fanno fatica ad avere i soldi per comprare da mangiare, figuriamoci se ancora aggiungiamo il costo delle mascherine”.

Strada lastricata di buone intenzioni, quella che indica Alberto Cirio. Nel ragionamento del presidente della Regione, in vista dell’obbligo di indossare la mascherina per gli addetti alla vendita che scatterà domani, manca un passaggio: la carenza di dispositivi di protezione anche per chi sta in prima linea, ovvero gli operatori sanitari. Così, se appare più che ragionevole “renderne obbligatorio l'uso per tutti i cittadini nel momento in cui le possiamo consegnare, facendo prima una distribuzione di massa alla popolazione e solo dopo obbligare a mettere le mascherine”, continua ad esserci qualcosa che non torna sulla dotazione per medici, infermieri, operatori socio-sanitari e altro personale che opera a contatto con i malati.

Certo non tutto funziona come dovrebbe. Ed è lo stesso assessore alla sanità Luigi Icardi a doverlo ammettere, spiegando che “la burocrazia ci blocca”. Riferendo in commissione Sanità, ieri l’esponente della giunta ha spiegato che “la Regione ha parzialmente superato l’emergenza legata ai dispositivi di protezione”, sciorinando poi le cifre: “Come Unità di crisi abbiamo acquistato 2.010.000 mascherine e ne abbiamo ottenute 2.267.000 in donazione e 3.200.000 dalla Protezione Civile. Abbiamo ricevuto 57.000 mascherine Fp3 dalla Protezione civile, 1.195.000 di mascherine Fp2 dalla Protezione civile e 280.000 dall’Unità di crisi. Le criticità ancora presenti riguardano le mascherine Fp3 e i camici, dovuti in gran parte al blocco delle frontiere e alle giacenze del materiale nelle dogane. Restano difficoltà di approvvigionamento – ha aggiunto – anche perché la burocrazia non aiuta: Miroglio, per esempio, potrebbe triplicare la produzione, lavorando anche in uno stabilimento estero, ma tale possibilità al momento è preclusa”. Intanto, una buona notizia: l'assessore ha annunciato la distribuzione negli ospedali mille maschere da snorkeling modificate per essere utilizzate come ausilii respiratori nel caso i caschi Cipap non siano in quantità sufficiente.

Numeri, quelli elencati da Icardi riguardo le mascherina, che cozzano contro una realtà troppo spesso ben diversa. “Continuo a usare la stessa mascherina che ormai non filtra più nulla” e, ancora, “Abbiamo tre camici monouso, niente tute, zero calzari, zero cuffie”, e poi: “Ci avevano dato tre mascherine ffp3, due ffp2 e tre chirurgiche, siamo in cinque”. Sono solo alcuni dei molti messaggi che i medici sul territorio si scambiano, tra il disperato e lo sconsolato, in questi giorni. Non diversamente accade in non pochi ospedali.

Ieri il sindaco di Acqui Terme, Lorenzo Lucchini, ha alzato il telefono: “Siamo in grandissima difficoltà con gli approvvigionamenti di dpi e il personale dell’ospedale inizia a ridimensionarsi in numero a causa dell’inevitabile contagio”. Gli è stato risposto che entro domani arriveranno mille mascherine ffp2. Ma Lucchini non ha chiamato l’Unità di Crisi. A rispondere alla sua disperata richiesta è stato il filantropo che fino ad oggi ha donato più 80mila mascherine, oltre a respiratori e altre attrezzature, all’ospedale della sua città, Vercelli, ma anche a Comuni e associazioni di volontari.

Figura singolare, quella di Carlo Olmo, avvocato che da tempo ha lasciato la toga per abiti che rimandano alla sua attività di maestro caposcuola VI° Chieh di Arti Marziali Cinesi. Benefattore ancor prima che arrivasse il coronavirus. “Non ambisco a nomine, onorificenze, diplomi o quant'altro, proprio perché ritengo di non stare facendo niente di eroico o straordinario ma semplicemente cerco di compiere, nelle mie modeste capacità, il mio dovere di semplice e privato cittadino” dice di sé.

Mascherine, ma non solo. Olmo ha già donato un’ambulanza medicalizzata alla Croce Blu vercellese, tre ventilatori con monitoraggio respiratorio per la rianimazione dell’ospedale. In passato ha acquistato anche un appartamento per i famigliari dei bambini in cura nell’ospedale oncologico Regina Margherita di Torino, finanziato la costruzione di un ospedale Wecare ad Aber in Uganda, parte di un asilo in Perù, aiutato a portare l’energia elettrica i un villaggio in Vietnam e a realizzare una biblioteca in Kenya per la fondazione Santina di don Luigi Ginami.

Nato 55 anni fa a Lecco, ha vissuto in orfanotrofio a Mantova fino a sette anni, quando è stato adottato. Dal padre ha ereditato lo studio legale, uno dei più noti di Vercelli. “Quando sono nato la vita mi ha tolto tutto. Sono stato abbandonato. – ha raccontato alla Sir, l’agenzia di informazione religiosa  –. Poi un giorno la vita mi ha restituito tutto, donandomi una bellissima famiglia e tutte le possibilità di fare quello che volevo. Oggi mi viene data la possibilità di donare a chi più ne ha bisogno”.

Olmo, che le sue attività benefiche lo hanno portato anche a incontrare Papa Francesco, aldilà dei suoi gesti filantropici ha mostrato una indiscutibile capacità di superare difficoltà davanti alle quali di fermano o comunque rallentano le istituzioni. Mentre i numeri si scontrano con la drammatica realtà denunciata da medici e infermieri, e la Protezione Civile nazionale inciampa in una fornitura di mascherine sbagliate agli Ordini dei medici, il benefattore vercellese continua a far arrivare senza intoppi dispositivi di protezione personale che trasporta e distribuisce con l’aiuto dell’Esercito e di volontari.

Un approccio sideralmente lontano da quello di dirigenti che operano in emergenze con modi e strumenti che ancora assomigliano troppo all’abitudine consolidata in anni di scrivania in enti e aziende sanitarie spesso cedevoli al paravento della burocrazia che, giustamente, oggi l’assessore indica come ostacolo. A Roma certo, ma non solo, però.

Annunciando una delle tante spedizioni di mascherine dalla Cina giunte a destinazione, Olmo scrive: “Una domanda, umilmente: ma perché a me arrivano?”. Un’altra domanda viene da porla alla Regione, all’Unità di Crisi, perché non chiamare lui, fosse anche solo per qualche dritta e suggerimento se non addirittura per affidargli un compito che ha dimostrato di saper svolgere, sul campo, meglio di molti altri?

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