LA RIPARTENZA

Fase 2, tante grazie a Saracco ma a decidere sarà il Governo

Lo studio del Politecnico è stato accolto a Roma con freddezza: "Utile spunto di lavoro". Nessun "modello Piemonte": i piani per la ripresa (parziale) delle attività produttive li elaborerà la task force di Colao. Che domani incontrerà Cirio e i colleghi governatori

“Non voglio imporre nulla, io presento un modello che mette d'accordo i migliori imprenditori d'Italia e una delle istituzioni universitarie migliori d'Europa. Lo mettiamo a disposizione anche della task-force istituita a Roma”. Alberto Cirio non rinuncia all’idea, forse più un’illusione, di vedere il piano predisposto dal gruppo di lavoro coordinato dal rettore del Politecnico Guido Saracco, diventare lo schema su cui programmare e definire l’uscita graduale dal lockdown non solo in Piemonte, ma in tutto il Paese.

Quella disponibilità il governatore la annuncerà certamente domani quando è in programma, ancora non si sa se a mezzogiorno o alle 15, un incontro in videoconferenza tra le Regioni e il capo del comitato economico Vittorio Colao. Soprattutto, ancora una volta, Cirio ribadirà la sua linea circa la ripartenza, ovvero detto in poche parole: seguire la Lombardia. Anche quando rimarca l’attenzione sulla necessità di “scelte che devono essere territorialmente omogenee”, il governatore guarda oltre Ticino e lo conferma annunciando di volerne parlare a breve con il suo omologo Attilio Fontana, “perché è evidente che le scelte lombarde influenzano il Piemonte, come le scelte piemontesi influenzano quelle della Lombardia. Abbiamo aree che convivono”. Per rafforzare il concetto, aggiunge: “Come si è stati omogenei nelle misure di contenimento, bisogna essere omogenei anche nelle misure di riapertura".

Cosa riaprirà il 4 maggio in Piemonte? Premesso che da Palazzo Chigi, dove sembra predisporsi una strategia per un gioco a rimpiattino con le Regioni, in queste ore il premier Giuseppe Conte ha la mano sul freno, pronto a tirarlo, due settimane sono niente se un piano nazionale ancora non c’è e se la prima e ad oggi unica riunione dei 17 della squadra di Colao sembra essersi limitata a perimetrare i campi di azione e verificare altri aspetti formali. La data potrebbe segnare, più concretamente, un superamento più simbolico che reale dell’immobilità del sistema produttivo. Certo facile immaginare la ripresa, sia pure con criteri, orari e misure molto diverse rispetto al passato, di quelle grandi industrie come Fca dove i cambiamenti imposti dall’emergenza sono già stati oggetto di un accordo con i sindacati e le misure per prevenire il contagio sono state predisposte. Per il resto sarà tutto molto graduale, contenuto, al limite del simbolico, appunto. Ma dopo settimane di chiusura totale anche un simbolo, un segno può avere molta importanza.

“In Piemonte abbiamo una classe imprenditoriale che sa cos'è la responsabilità sociale d'impresa senza bisogno che qualcuno lo insegni. Le nostre aziende hanno pensato ben prima del coronavirus alla sicurezza e al benessere dei lavoratori – spiega Cirio –. Poi noi abbiamo il Politecnico”. Quel Politecnico il cui rettore, si dice, condivida con il governatore l’aspirazione di vedere il piano diventare modello nazionale. Ipotesi che pare assai improbabile non foss’altro che per la, diciamo, necessità da parte della task force guidata da Colao di non farsi dettare regole e schemi da una di quelle Regioni il cui fiato sul collo risulta sempre più fastidioso al premier.

Saracco ha anticipato il piano a Palazzo Chigi, attraverso il capo di gabinetto del premier, ma nulla di più. In ambienti romani, anzi, trapela una certa freddezza facendo notare come il “senz’altro pregevole” del Politecnico non è stato sollecitato né tantomeno frutto di un incarico formale. Insomma, nessun viatico preventivo da parte del Governo come pure era sembrato lasciar intendere lo stesso Magnifico di corso Duca degli Abruzzi. Alcuni ministri, quelli che per deleghe sono i più coinvolti nella ripartenza produttiva, dopo aver visto un servizio televisivo sul piano (“uno spottone”) hanno chiesto lumi a parlamentari ed eletti del territorio. Anche il componente piemontese del “dream team” della ricostruzione, il commercialista Riccardo Ranalli, si è limitato a una presa d’atto: “Mi pare sia arrivato”, riferendosi al corposo dossier “Imprese aperte, lavoratori protetti” targato Poli.

Al netto dei rapporti non propriamente fluidi tra i vari livelli decisionali, Cirio vuole procedere, passando attraverso una fase “sperimentale” che coinvolga imprese nelle quali sono già operanti misure di prevenzione e protezione e che con pochi ulteriori interventi potrebbero essere messe pienamente in regola. Per il governatore segnare una siappur cauta e parziale riapertura significa anche trasmettere un messaggio psicologico positivo alla popolazione piemontese che, stremata dalle misure di confinamento, vedrebbe finalmente profilarsi un orizzonte di ripresa verso una “nuova normalità”.

Due settimane per decidere come modificare gli orari di lavoro, magari portando a sette giorni lavorativi con turni ridotti, come adeguare la rete dei trasporti per evitare affollamenti, e poi ancora le dotazioni di dispositivi di protezione specie nelle aziende medio piccole dove le difficoltà in questo caso possono essere superiori rispetto agli stabilimenti dei grandi gruppi. Un lavoro enorme, difficile. Soprattutto in una regione che sul versante dell’emergenza sanitaria ha mostrato falle e scarsa organizzazione senza che i vertici e le catene di comando siano riusciti, fino ad oggi, a compiere aggiustamenti attesi e necessari.

Ripetere errori anche sul fronte dell’economia sarebbe fatale. Per contro, che si debba in qualche modo incominciare a uscire dal blocco pressoché totale della produzione è fuor di dubbio. Resta da vedere se lo si farà con rigide regole stabilite dal Governo oppure applicando il modello Piemonte. Che continua a seguire la Lombardia.

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