EMERGENZA SANITARIA

Virus, il fronte ora è in casa

Il confinamento e le quarantene non controllate hanno moltiplicato i focolai domestici. Occorre trasferire i nuovi infetti in strutture apposite, spiega il virologo Di Perri: "Vanno introdotti sistemi di tracciatura". Ma anche su questo il Piemonte è in ritardo

“Il contagio domestico è un grosso problema. E sarà lì, tra le mura di casa, che anche quando la curva dei casi positivi scenderà si dovrà porre la massima attenzione”. Ieri il Piemonte è arrivato a sfiorare i 2mila casi accertati di positività, cifra che già oggi sarà superata. Gli ultimi dati indicano come oltre il 60% riguardi gli ospiti delle case di riposo, ma considerato il lockdown parte del restante è facilmente attribuibile a una catena che parte da focolai domestici. E proprio questi rappresentano un forte rischio, oggi e anche quando i contagi diminuiranno, come spiega il direttore del dipartimento clinico di malattie infettive all’Amedeo di Savoia Giovanni Di Perri. “Anzi è proprio lì che si deve e si dovrà porre la massima attenzione, utilizzando sistemi di tracciatura, ma anche con regole molto chiare e da osservare scrupolosamente”.

Basta l’uso dell’ascensore condominiale, un lavoretto in cantina, la spazzatura da portar fuori e quell’isolamento domiciliare per chi è positivo o c’è il sospetto che lo sia così come dei suoi famigliari può essere vanificato in un attimo. E, in un attimo, il virus torna a propagarsi. Ma pur restando chiusi in casa, se non ci sono quelle condizioni che davvero permettano un isolamento efficace e anche per distrazione non si rispettino le procedure, il contagio è più di un’eventualità. “Per questo credo si debba considerare con molta attenzione un isolamento in strutture diverse dall’abitazione quando questa e il contesto familiare non presentino assolute certezze dal punto di vista della sicurezza necessaria per evitare il contagio”, spiega ancora Di Perri.

Una linea, quella della quarantena in alberghi appositamente predisposti o in strutture militari messe a disposizione della Protezione civile, che viene condivisa e sostenuta da molti eminenti infettivologi a livello nazionale. E val la pena ricordare che i primi italiani tornati dalla Cina non vennero mandati a casa, ma posti in quarantena nella cittadella militare della Cecchignola, pur non essendo positivi al virus.

Delle 10.406 persone in isolamento domiciliare censite in Piemonte, secondo i dati resi noti ieri, quante sono nelle loro abitazioni e quanti in alberghi o strutture dell’esercito? Impossibile saperlo. Dall’Unità di Crisi spiegano che questi dati non sono stati caricati sulla piattaforma informatica dalle singole Asl i cui Sisp sono deputati a stabilire il provvedimento di quarantena, e a comunicarlo ai Comuni per la vigilanza e il servizio con particolari procedure. Ma è normale che il vertice operativo regionale dell’emergenza non abbia un quadro costantemente aggiornato su dove siano coloro sottoposti a isolamento?

Senza dati pare difficile se non impossibile gestire e, se del caso, modificare le misure di contenimento del virus rispetto a quello che, oltre alle Rsa, oggi rappresenta il maggior fattore di rischio e uno dei principali focus su cui ci si dovrà concentrare anche quando i numeri caleranno e ci sarà un’uscita, suppur parziale, dal lockdown.

In Piemonte, al contrario di quanto accade per esempio in Veneto, il ridotto numero di tamponi ha accentuato il rischio del contagio domestico. Innumerevoli, ad oggi, i casi segnalati da parte di conviventi di persone delle quali è stata confermata la positività o sono stati dimessi, ancora positivi, dagli ospedali, alle quali non è mai stato fatto il test. O, ancora, prescrizioni di isolamento per alcuni componenti della famiglia e per altri no, quindi liberi di circolare. Tamponi fatti al marito e non alla moglie, al figlio ma non al nipote convivente: funziona spesso così. E funziona male. Si va anche sulla buona fede al momento in cui viene chiesto a colui che deve rimanere in isolamento se la sua abitazione ha le caratteristiche per consentirlo, dovendo però mettere in conto anche l’aspetto affettivo e il legittimo desiderio di restare in casa con i propri cari, anziché passare un paio di settimane in una stanza d’albergo o in una struttura approntata allo scopo.

Senza arrivare al caso limite della persona sottoposta a quarantena trovata a passeggiare lungo l’argine del Tanaro ad Alessandria insieme ad altre due, entrambe positive al coronavirus, il problema resta in tutta la sua gravità, anche in vista di quell’auspicato calo dei contagi che, come osserva Di Perri “richiederà misure molto efficaci per evitare che i numeri tornino a salire”. Anche se i ricoveri stanno lievemente calando di intensità, l’utilizzo di strutture dove ospitare pazienti che non richiedono più un’assistenza ospedaliera, pur essendo ancora contagiosi “sarebbe opportuno e utile per liberare posti nei reparti”, come osserva l’infettivologo dell’Amedeo di Savoia.

Nella provincia di Alessandria, la più colpita dall’epidemia con 438 decessi e 2.718 casi accertati, sembrava profilarsi l’uso di un hotel attualmente vuoto proprio per cercare di arginare la diffusione del virus in ambito famigliare, ma pare che l’idea sia naufragata, nella tempesta di approssimazione e confusione dalla quale il Piemonte non sembra saper uscire. Neppure di fronte a quello che si sta affermando, oltre alle case di riposo, come il nuovo fronte del contagio.

print_icon