RISIKO PARTECIPATE

Iren accende le brame di A2a

Da un punto di vista geografico e industriale i due gruppi sarebbero perfettamente complementari. In una ipotetica fusione Torino, pur limando la propria quota, valorizzerebbe la sua partecipazione. Genova molto interessata all'operazione

La grande occasione si era presentata alla fine dello scorso anno, quando Sorgenia è finita sul mercato. Su quell'operazione Iren aveva puntato buona parte delle sue fiches per consolidarsi ulteriormente e assicurarsi un futuro da predatore piuttosto che da preda nel grande risiko delle multiutility. Come sono andate le cose è noto: la creatura della famiglia De Benedetti è finita nelle mani del fondo F2i e ora le voci di una fusione tra A2a e Iren diventano ogni giorno più insistenti.

Alla prova della trimestrale, l'azienda lombarda ha mostrato una maggiore resilienza di fronte alla crisi generata dall'epidemia e le sue performance industriali l'hanno lanciata in Borsa dove nell'ultima settimana è cresciuta di oltre il 7%. Parlando di una possibile fusione con Iren, il presidente uscente di A2a Giovanni Valotti è stato chiaro, affermando che se il nuovo management procederà in questa direzione “si muoverà sulla strada giusta” e che “per i soci pubblici sarebbe una prova di maturità ulteriore”. Affermazioni che Valotti si è affrettato a dire che stava facendo “da professore” ascrivendo a un livello teorico un’operazione che invece potrebbe delinearsi più rapidamente di quanto si possa immaginare.

Il dossier ora è nelle mani del nuovo presidente, Marco Patuano, ma soprattutto dell'amministratore delegato Renato Mazzoncini, che ha preso le redini operative di Valerio Camerano.  Quello delle multiutility è un universo sempre più proiettato verso la polarizzazione, attraverso la nascita, per aggregazione, di gruppi via via più solidi in grado di sfruttare economie di scala e diversificare un business che va dall'energia elettrica al settore idrico, passando per la redditiva filiera dei rifiuti. Per questo, stando almeno all'analisi industriale dei due gruppi, quelle fra A2a e Iren sembrano nozze obbligate.

L'azienda lombarda, in fondo, già un paio d’anni fa ci aveva fatto un pensierino, Iren per evitare di finire in pasto ad altri aveva intrapreso una corposa campagna di acquisizioni che l'hanno fatta crescere costantemente, incrementando però anche il suo indebitamento che ora è pari a 2,807 miliardi, in crescita del 3,8% rispetto alla fine del 2019. Proprio nell'ottica di un progressivo consolidamento s'inseriva l’acquisizione di Sorgenia, poi sfumata. Trattandosi di società controllate da enti pubblici, un’opa di A2a su Iren sarebbe impraticabile. L'unica possibilità di fusione sarebbe un accordo di sistema. Cioè un'intesa politica tra le amministrazioni locali che sono le principali azioniste dei due gruppi. Da una parte ci sono i Comuni di Milano e Brescia, che detengono in modo paritario il 50% di A2a, dall'altra Genova, Torino e il patto dei Comuni emiliani, guidati da Reggio Emilia.

Da un punto di vista industriale, l’integrazione tra le due società non presenterebbe particolari difficoltà innanzitutto perché essendo entrambe figlie di società municipalizzate, operano su territori differenti: Iren in Piemonte, Liguria e un pezzo di Emilia, mentre A2a è consolidata in Lombardia. Inoltre non ci sarebbero sovrapposizioni tali da appesantire i costi di gestione e neppure sul piano occupazionale provocando degli esuberi. Al contrario, laddove l'una è forte, l’altra è più debole: i due business sono perfettamente complementari. A2a, per esempio, è fortissima nell’elettrico (il giro d'affari vale tre volte quello di Iren), mentre Iren è ben piazzata sull’idrico dove A2a fatica. Nel complesso A2a ha 2,7 milioni di clienti mentre Iren ne ha 1,9 milioni. Quello della clientela è uno dei principali parametri valutati nelle fusioni insieme alla capitalizzazione in Borsa. Che vede anche in questo caso A2a fare la parte del leone, con un patrimonio di 4 miliardi a fronte dei 2,8 miliardi di Iren. 

La scommessa per i soci pubblici sarebbe quella di vedere diluite le proprie quote, ma nell'ambito di un nuovo colosso in grado di giocare un ruolo da protagonista sullo scacchiere nazionale. Tanto per fare un esempio la quota attuale di Torino scenderebbe dall'attuale 13,8 detenuto in Iren al 5%. Ma come già è vigente per l’azienda guidata da Renato Boero, anche nell’ipotetica nuova holding vigerebbero patti di sindacato tra i soci pubblici che potrebbero rideterminare il peso dei soci pubblici, al di là delle percentuali possedute. Allo stato attuale, a Torino in quella prospettiva non resterebbe che un ruolo di ancella, poiché numeri alla mano gli azionisti forti sarebbero Milano, Brescia e Genova. Proprio la città della Lanterna sembrerebbe la più interessata a premere sull’acceleratore della fusione. Un po’ perché il sindaco Marco Bucci rafforzerebbe la propria posizione dominante (attualmente è il primo azionista pubblico con il 18,85%) e si troverebbe in pochissimi anni ad aver valorizzato il proprio investimento. Inoltre lo stesso ad di Iren Massimiliano Bianco potrebbe vedere riconosciute le proprie competenze e non faticherebbe a trovare nel futuro assetto un ruolo di primo piano, avendo acquisito una esperienza nel settore delle multiutility energetiche che A2a non ha, almeno a quei livelli.

In questo nuovo scenario dovrà muoversi Chiara Appendino, seconda azionista di Iren, che il Comune di Torino ha letteralmente plasmato a partire dal 2006, quando aveva riunito la sua Aem assieme all'amga di Genova dando vita a Iride, poi diventata Iren in seguito all'intesa con gli emiliani di Enia. Quale sarà il suo ruolo e la sua posizione potrebbe diventare chiaro già a partire dalle prossime settimane. 

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