LA SACRA FAMIGLIA

Fca batte cassa allo Stato: 6,3 miliardi "garantiti"

Sede legale in Olanda e domicilio fiscale nel Regno Unito ma i soldi italiani fanno molto comodo. A erogare il finanziamento sul plafond Sace Intesa Sanpaolo. I dubbi di Berta: "Incognite sull'uso di questi fondi, il Governo non è in grado di porre condizioni"

La sede legale è nei Paesi Bassi e il domicilio fiscale nel Regno Unito. Ma i soldi italiani fanno comodo, eccome. Per questo Fca starebbe valutando di chiedere la garanzia dello Stato italiano, a valere sul plafond gestito da Sace, su prestiti per circa 6,3 miliardi di euro, di cui Intesa Sanpaolo sarebbe il principale finanziatore. Interpellati sulla questione, né Fca né Sace né Intesa hanno voluto commentare la notizia. Secondo i termini dell’operazione, la Sace fornirebbe una garanzia pubblica per l’80% dell'importo. La procedura prevede una fase preliminare, una sorta di istruttoria, e una volta completata vengono inviati gli esiti al Ministero dell'Economia, che rilascerà a quel punto la garanzia tramite decreto. La procedura è prevista dal decreto Liquidità, ed ha come obiettivo quello di garantire la continuità delle attività economiche danneggiate dalla pandemia Covid-19: le garanzie sono destinate alle imprese con un fatturato individuale superiore o uguale a 1,5 miliardi o con numero di dipendenti in Italia superiore o uguale a 5mila e per finanziamenti di importo superiore o uguale a 375 milioni di euro. Le aziende dal canto loro si impegnano a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali, a “non approvare la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni nel corso del 2020 per essa e per ogni altra impresa con sede in Italia che faccia parte del medesimo gruppo”. All’inizio di questa settimana, Fca ha annunciato che non distribuirà i dividendi. Ma non è solo Fca, ovviamente: in questo periodo di trimestrali, sono molte le imprese colpite dagli effetti dell’emergenza sanitaria ed economica da Covid-19 ad aver preso una decisione simile.

La richiesta del Lingotto presenta secondo il professor Giuseppe Berta, docente di Storia dell’Economia alla Bocconi, “alcune incognite” a partire dal “ruolo” che la Francia potrà giocare alla luce del progetto di fusione tra il gruppo proprietario di Fiat e Chrysler e il colosso francese Psa, delle condizioni che il governo italiano potrà porre e dell’eventuale uso che si potrà fare di questi fondi nel caso in cui il prestito sarà concesso. “La Francia è già nel capitale di Renault e Psa e non uscirà, anzi il governo francese ha intenzione di far pesare la sua voce sul destino della produzione automobilistica nazionale” spiega all’Agi Berta, sottolineando che “i due gruppi non sono nella stessa posizione rispetto ai due governi interessati dall’operazione e forse a questo tavolo manca un convitato”. La richiesta di Fca “non mi sorprende”, sottolinea Berta ricordando che l’Economist ha dedicato un approfondimento alla crisi dell’auto da cui emergeva che si tratta “di uno dei settori più violentemente colpiti” dalla crisi e “c’è il rischio che si bruci liquidità per circa 50 miliardi di dollari relativamente ai primi otto gruppi automobilistici mondiali”.

Nella classifica degli otto gruppi, il settimanale poneva al primo posto Bmw e all’ultimo posto Fca. Ecco perché, ribadisce l’economista, la richiesta di una linea di credito “non stupisce” perché “questo prestito è finalizzato a far fronte alla difficilissima situazione di liquidità che si è venuta a creare”. Tuttavia, osserva, non si può non tener conto di alcuni aspetti, a partire dalla fusione. “I due gruppi, Fca e Psa hanno confermato l’intenzione di procedere con la fusione al massimo entro l’inizio del 2021 - ricorda ancora il professore - poiché siamo ormai a metà maggio, è chiaro che abbiamo davanti un orizzonte di pochi mesi in cui Fca resterà un gruppo autonomo. Non si può non tener conto del fatto che non ci sarà più un piano industriale Fca dal momento che il prossimo piano industriale sarà presentato dal nuovo gruppo che nascerà dalla fusione. Quindi – osserva – il destino industriale del settore automobilistico italiano non sarà più nelle mani di Fca ma del nuovo soggetto che nascerà dall’operazione. La presidenza andrà a John Elkann, attuale presidente di Fca, ma la guida strategica sarà nelle mani del gruppo francese. Sono quindi tante le domande da porsi”.

Se la fusione andrà in porto nel giro di pochi mesi, prosegue Berta, “è destinato radicalmente a cambiare il nuovo perimetro del gruppo che sarà più ampio e in cui la componente francese sicuramente sarà forte e avrà la gestione operativa”. Quanto alle condizioni che il governo italiano potrà porre nella concessione della linea di credito, il professore evidenzia che “non si tratta di un prestito bancario e nemmeno di un bond remunerato sul mercato, ma di una linea di credito di notevole consistenza, con condizioni agevolate, a un tasso molto basso”. Pertanto, spiega “se ottengo condizioni agevolate devo dare delle garanzie. Ma la domande è: che impegni si possono chiedere in vista del fatto che il prossimo piano industriale sarà presentato da un nuovo gruppo?”. Sicuramente le condizioni, prosegue, “riguardano in primis gli impianti, le fabbriche e l’occupazione ma questo impegno credo che non possa essere preso senza tener conto della situazione di cambiamento generale del settore dell'auto”. Altro elemento che rende “molto complesso” il quadro in cui si inserisce questa richiesta di prestito, secondo Berta, è “che la sede fiscale di Fca è a Londra, ovvero in un Paese che ha fatto un referendum per sancire la sua uscita dall'Unione europea e che sta negoziando la Brexit”.

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