CENTRODESTRA

Tutti con Cirio, ognuno per sé

Berlusconi cita il governatore nel duello a distanza con Salvini: "Non lo volevi ma ha vinto". In Piemonte Forza Italia è ridotta al lumicino e le tensioni sono semmai tra Lega e Fratelli d'Italia

Nel clima sempre più teso tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini e nei ragionamenti conseguenti che il leader di Forza Italia ha fatto recentemente in collegamento con il suo stato maggiore è spuntato pure il nome di Alberto Cirio. Infilandolo, per completare il tris dei governatori azzurri, insieme ai presidenti di Calabria, Iole Santelli e della Basilicata Vito Bardi, il Cav. lo ha portato come primo esempio di quanto aver puntato i piedi senza cedere alla Lega abbia equivalso a una vittoria, seguita dalle altre due, altrimenti a suo dire non così certa. “Se gli avessi dato retta – riferendosi a Salvini – avrei perso tre volte di fila”.

Esagerazioni a parte, resta quell’aria pesante, che poi leggera non lo è ormai da tempo, tra il Cavaliere e il Capitano. Ma neppure un refolo sembra arrivare in Piemonte. Per un fatto molto semplice, quanto non rassicurante per gli azzurri: Forza Italia è come sparita dagli schermi della politica regionale, senza peraltro esservisi mai del tutto affacciata fin dall’inizio della legislatura. Un’assenza resa ancor più visibile dalla scelta da parte di Cirio di non voler marcare affatto politicamente la sua presidenza forse per una singolare interpretazione del ruolo istituzionale o, assai più probabilmente, dando ragione a chi decifra questo atteggiamento nella volontà di non disturbare o creare il minimo problema all’azionista di stragrande maggioranza, insomma a quella Lega che in verità nei suoi vertici non sembra poi ricambiare con trasporto cotanto riguardo. “Con noi avrebbe vinto pure un paracarro”, commenta un alto papavero del Carroccio, ridimensionando il peso elettorale dell’alleato forzista.

La posizione che gli attriti tra Berlusconi e Salvini riserverebbero a Forza Italia, in realtà, viene occupata a Palazzo Lascaris (più che in giunta, dove il recentissimo arrivo di Maurizio Marrone potrebbe cambiare alcune cose pure lì) da Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni oggi è il vero e unico interlocutore critico nei confronti della Lega all’interno della maggioranza. Lo è perché, come detto, Forza Italia ha di fatto rinunciato a rivestire questo ruolo anche quando le condizioni nazionali lo faciliterebbero, ma non di meno perché FdI intende mettere a reddito quella crescita di consensi che dall’esito elettorale ad oggi, anche in Piemonte, è più che triplicato.

La dialettica, per meglio dire le frizioni sono sempre più frequenti tra Lega e Fratelli d’Italia. Ci sono sulle nomine, sulle priorità dei lavori di giunta e d’aula. Lo stesso Marrone, front man dei meloniani, non ha mancato di confermare questo scenario che vede il suo partito tutt’altro che acquiescente nei confronti della principale forza politica di maggioranza. Lo ha fatto ancora recentemente rifiutando di svolgere il ruolo di mediatore nella complicata e non ancora risolta questione della commissione di inchiesta sull’emergenza Coronavirus. Altro che togliere le castagne dal fuoco a chi ha riempito il sacco nel bosco non solo delle elezioni, ma ancor più dei posti di governo e sottogoverno. E poi perché, come diceva la vecchia reclame, la fiducia è una cosa seria. Marrone, giovane ma navigato, lo sa. E sa pure che quelle percentuali con cui il suo partito è entrato nella coalizione, dovendo pure subire qualche umiliazione nella lunga discussione per la distribuzione dei posti in giunta, non sono più tali, ma vanno moltiplicate per tre, se non per quattro. Aritmetica che facilmente salterà fuori quando si tratterà di mettere mano alla giunta in quel rimpasto da tutti, incominciando da Cirio, negato ma che invece pare proprio essere nelle cose, attendendo soltanto la modifica dello statuto regionale con l’apertura a più esterni nell’esecutivo.

Numeri, ma anche figure e soprattutto una linea che possono suscitare qualche preoccupazione nei leghisti, ancora troppo ancorati a slogan e sortite dove la strategia spesso difetta e talvolta s’infrange in scogli peraltro ben visibili con le lenti della politica togliendo quelle della propaganda. Una preoccupazione che, ovviamente, la Lega nega, ma che facilmente si potrà accentuare quando verrà il momento di rimettere mano alla giunta e farlo senza tenere conto dei mutati pesi, sia pure misurati dai sondaggi e non dalle urne, non sarà una passeggiata nel parco. Anche se Forza Italia resta seduta sulla panchina.

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