LA RIPRESA

"Il Piemonte può farcela, ma deve contare di più"

Le risorse sono importanti e indebitarsi non è un tabù, sono però essenziali un piano di investimenti e una strategia di respiro internazionale. E mettere da parte il tradizionale understatement. Parla Damilano, imprenditore e "riserva civica"

Dante, le Alpi e il viso di ragazza con la mascherina. Immagini incastonate nel tricolore che fascia le confezioni di uno dei numerosi brand di acqua minerali del gruppo Damilano, oltre 75 milioni di fatturato che comprende anche i vini di pregio e acquisizioni nell’ambito del food come due nomi storici per Torino, la pasticceria Zucca e il pastificio De Filippis. Paolo Damilano, 54 anni, ceo del gruppo che affonda le radici alla fine dell’Ottocento nelle vigne di Barolo e che conserva l’impronta famigliare con il fratello Mario e il cugino Guido ai vertici, su quel tricolore ha scritto Noi siamo Italia.

Ma che Italia è quella, per dirla con una vecchia canzone di De Gregori, colpita al cuore? Che Paese esce dall’inimmaginabile prova cui è stato sottoposto dal Coronavirus?
“Un’Italia che si è ovviamente dovuta piegare all’emergenza sanitaria e a quella che continua ad essere un’emergenza economica, ma anche un’Italia che avrà mille opportunità per sfruttare il momento di ripartenza che dobbiamo affrontare nei prossimi mesi, anche se sfruttare può sembrare un termine brutto da usare in un frangente come questo. Eppure è proprio questo che dobbiamo fare: cogliere le occasioni della crisi”.

In questi giorni la politica si divide sul Mes, ma servono soldi, moltissimi, per affrontare una crisi senza precedenti. Numerosi economisti sostengono che questo è uno di quei casi in cui non bisogna aver paura di indebitarsi. La pensa così anche lei?
“Assolutamente sì. Se c’è un momento nella vita della nostra nazione in cui non bisogna avere paura di indebitarsi è proprio questo. Quando dico che bisogna indebitarsi, però dico anche che bisogna farlo in maniera sana. Noi imprenditori quando ci indebitiamo lo facciamo con la prospettiva di sviluppare le nostre aziende, i nostri fatturati”.

Molte risorse sono state impiegate fino ad oggi, pur con i ritardi ben noti, in aiuti alle imprese e per gli ammortizzatori sociali. I licenziamenti sono stati bloccati. Cosa succederà in autunno quando questo blocco probabilmente verrà meno e anche gli aiuti non potranno continuare all’infinito? Non si rischia un colpo di coda durissimo?
“Intanto bisogna capire quanto il rischio virus sia diminuito, quanto sta accadendo negli Stati Uniti non può non preoccupare. È chiaro che in questi mesi il denaro serviva ed è servito per permettere di affrontare il lockdown, da adesso in avanti i soldi devono servire per rilanciare l’economia”.

Il vostro gruppo esporta moltissimo, soprattutto vino. Quanto pesa una situazione della cui fine non c’è certezza e che coinvolge tutto il mondo?
“Il nostro prodotto è una delle eccellenze del nostro Paese, grosse preoccupazioni su un ritorno a una situazione pre Covid non ne abbiamo. È chiaro che i canali distributivi devono ricominciare a funzionare, primo fra tutto quello della ristorazione. Adesso negli Stati Uniti è tutto fermo. Mi preoccupa, piuttosto, molto l’impressione generale che si ha nei confronti del nostro Paese. Per questo non nego di essere stato molto critico nei confronti di una politica che è stata eccessiva nel dare un’eco internazionale che oggi temo abbia e avrà pesanti conseguenze sul turismo straniero. Anche se questo aveva la sua ragione nel rendere consapevoli dei rischi i cittadini. Però, ripeto, gli effetti sono molto pesanti per l’immagine del nostro Paese all’estero”.

Altri errori?
“Alcuni governatori hanno fatto a gara in dichiarazioni scellerate sulle restrizioni, quasi minacciando chi si fosse avvicinato ai loro confini. L’idea di un Paese di untori, purtroppo all’estero un po’ è passata”.

Il virus ha evidenziato non solo carenze nell’ambito sanitario, ma ha messo ulteriormente a nudo mali antichi, che voi imprenditori denunciate da tempo, prima tra tutti la burocrazia.
“Il nostro era un Paese malato prima e lo è ancora di più adesso. Fatta questa premessa, è evidente che la velocità nella risposta per cercare di uscire dalla crisi è decisamente insufficiente. Se facciamo il confronto con altri Paesi europei, sono stati più pronti e più svelti di noi. Nel momento in cui faccio questa critica ho la consapevolezza del fatto che c’era già un sistema e un’organizzazione in difficoltà. La pandemia ci ha fatto ulteriormente comprendere le difficoltà, a partire da quelle burocratiche ma anche l’impiego non corretto delle risorse. È giusto parlare di evasione fiscale, però allo stesso tempo e con la stessa determinazione vanno combattuti gli sprechi. Il parassitismo statale flagella il nostro bilancio da decenni”.

Anche il sistema bancario con procedure farraginose e ritardi è finito sotto accusa. Si poteva agire diversamente?
“Il rapporto col sistema bancario va migliorato e ciò andava fatto già prima. Tuttavia, pensare che possa procedere concedendo contributi dove non ci sono determinate garanzie, senza un’adeguata normativa, mi pare voler dare responsabilità superiori rispetto a quelle dovute. Nello stesso tempo ritengo che nel momento in cui si dà un finanziamento a un’azienda che ha un mercato la cui domanda non mostra segni di recupero, diventa tutto più complicato sia per chi eroga il denaro, sia per chi lo riceve”.

Una grossa fetta del vostro mercato è negli Stati Uniti. Però le radici le avete ben piantate in Piemonte. Lei presiede la Barolo & Castles Foundation, guida la Film Commission, ha presieduto il Museo del Cinema e il suo nome è circolato per settimane come quello del possibile candidato civico a governatore per il centrodestra. Il suo nome continua a circolare tra i papabili candidati a sindaco di Torino. Dell’Italia ha detto, il Piemonte come lo vede al tempo del Coronavirus?
“Il Piemonte è una regione che ha opportunità straordinarie, Torino è una città che ha capacità lavorative e professionali riconosciute a livello internazionale. Penso alla manifattura, che negli anni ha fatto da traino e ha aperto canali a nuovi settori dell’economia verso l’estero. Cosa bisogna fare? Rafforzare il sistema perché queste aziende possano lavorare più e meglio e poi essere capaci di attrarre nuovi progetti, nuovi investimenti. Torino da tempo non è più solo industriale, bisogna continuare su questa strada. Io dico di prendere spunti dalla Langa e creare un asse con questa parte della regione. Si dirà: tutte cose belle ma con che soldi?”.

Ne arriveranno. Semmai si tratterà di vedere come saranno ripartiti tra le regioni. Una questione che la preoccupa?
“Proprio così. Io credo che il Piemonte e Torino abbiano dato tanto all’Italia, anche in termini di contributi, il Nord è quello che ha subito maggiormente gli effetti del virus anche sotto il profilo economico. Mi auguro e spero che nel momento in cui si andranno a distribuire i fondi si pensi prima di tutto alle regioni del Nord”.

Questa tesi le procurerà delle critiche, la solita divisione tra Nord e Sud, il Settentrione che traina…
“Mi pare innegabile che oltre ad avere patito maggiormente gli effetti della pamdemia, quelle del Nord sono anche le regioni più pronte e preparate per far ripartire l’economia. Non è il momento di guardare ai denari messi per il Sud dalla Cassa del Mezzogiorno in poi, sarebbero polemiche sterili. Oggi, tuttavia, c’è da capire che le locomotive d’Italia, le regioni più capaci di sviluppare ricchezza sono anche quelle più in difficoltà. Quindi credo logico che debbano essere le prime a venire aiutate”.

Lei sostiene che il Piemonte ha carte pesanti da giocare per la ripresa. Ma serve un piano, un progetto condiviso con le imprese e il mondo del lavoro, per non rimanere indietro?
“Il tema vero è che Torino e il Piemonte devono essere in grado di creare una classe dirigente politica che sia in grado di partecipare alla vita politica nazionale e in qualche modo portare avanti esigenze e le necessità del territorio. Si deve osare di più, anche venendo meno a quel tradizionale understatement che oggi rischia di penalizzarci. Faccio un esempio: un azionista di maggioranza non può non pensare di avere dei propri rappresentanti nel Cda dell’azienda, altrimenti i suoi interessi non potrebbero essere tutelati. La politica si è specializzata nel dirci perché non riescono a realizzare le cose, ma non è capace di delineare le strade per farle. Esattamente il contrario di quanto accade nelle aziende private”.

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