EMERGENZA SANITARIA

Piano ospedali rimasto sulla carta,
così il Piemonte si ritrova nel caos

Sarà pure colpa del commissario nazionale Arcuri, ma la Regione nonostante disponesse già in estate di precise indicazioni non ha mosso un dito. E così è avvenuto per la medicina territoriale e le assunzioni. Una catena di comando che è un groviglio

Gli ospedali da campo dell’Esercito vicini a quelli prossimi al collasso sono un generoso abbraccio a chi ha bisogno e un bruciante schiaffo a un sistema che non ha funzionato come avrebbe dovuto. Le stesse, doverose e condivisibili, parole di ringraziamento del presidente della Regione Alberto Cirio di fronte agli uomini con le stellette per i 170 posti letto in più su cui la sanità piemontese potrà contare già nelle prossime ore non possono nascondere la mancanza di strategie definite e la sovrabbondanza di generali in una catena di comando diventata un garbuglio con cui il Piemonte ha affrontato e cerca di affrontare una battaglia annunciata, come se invece fosse un’imboscata.

Le immagini delle tensostrutture che i militari in poche ore hanno eretto stridono con quelle delle ex Ogr dove era stato realizzato un ospedale Covid che il piano presentato all’inizio dell’estate dall’assessore Luigi Icardi in commissione era destinato a rimanere disponibile almeno fino a dicembre e invece è stato smatellato ormai da settimane. Perché? Perché se quegli spazi sono stati legittimamente rivendicati si è comunque deciso allora di usarli per mettervi letti che ora servirebbero eccome?

E gli ospedali Covid che fine hanno fatto? Nel piano iniziale del Piemonte predisposto dalla task force guidata da Giovanni Monchiero una serie di presidi doveva essere destinata ad accogliere pazienti colpiti dal virus, preservando per quanto possibile i nosocomi di maggiori dimensioni e con specialità di eccellenza, invece adesso ci si trova con pazienti Covid in tutti gli ospedali. È vero che da Roma, il commissario Domenico Arcuri e la sua squadra ha cambiato nel corso della partita le carte in tavola imponendo cambiamenti al piano, ma perché la Regione non ha rivendicato e usato la tanto invocata autonomia per predisporre un progetto tale da evitare o ridurre il ricovero dei pazienti Covid, con conseguenti sospensioni di altre attività mediche, in ogni ospedale?

Forse sarebbe bastata una decisione dai vertici regionali, senza lasciare troppa discrezione a quelle Asl che non hanno certo mai brillato per rapidità decisionale in epoca Covid free figuriamoci adesso e i cui vertici in molti casi mostrano attenzione soprattutto all’autoconservazione in vista delle nomine di primavera. Vero, difficile trovare un sindaco pronto a dirsi disponibile in estate a veder trasformare l’ospedale della sua città in Covid Hospital, ma è in questi casi che le decisioni devono essere prese senza calcoli e fregandosene delle lamentele e della convenienza elettorale.

E poi i Sisp. Quanto se ne è parlato, raramente bene, nei mesi della prima ondata. E quanto è cambiato in quel sistema dalle molte falle e troppe inefficienze? Lo stesso vale per la medicina del territorio, con Asl che hanno assunto personale medico e infermieristico e altre che, vai a capire perché, quelle assunzioni caldeggiate in maniera decisa dall’assessorato le hanno fatte con il contagocce.

Hanno abbondato, invece, in Regione con le task force e i galloni. Probabilmente troppo. Todos Caballeros. Prima danno il benservito a Mario Raviolo mettendo al suo posto al vertice dell’Unità di Crisi il geologo Vincenzo Coccolo, ora molto defilato dopo la concentrazione di poteri al Dirmei affidato subito a Carlo Picco, commissario dell’Asl Città di Torino e nel board della Compagnia di San Paolo per volontà della Lega. Poi il dipartimento lo mettono nelle mani del rianimatore del Maria Vittoria Emilpaolo Manno, lo stesso che in uno degli ultimi documenti firma con la dicitura di commissario dell’Unità di Crisi, ovvero il ruolo di Coccolo. Nel frattempo la giunta Cirio chiama Gianfranco Zulian, direttore sanitario all’ospedale di Vercelli, a guidare il settore Emergenza Covid, costituito ad hoc. Insomma, chi decide cosa?

Mentre la pandemia dà precisi segnali allarmanti della prevista seconda ondata, Cirio s’inalbera perché il suo assessore alla Sanità è ancora in viaggio di nozze mentre lui convoca in una riunione di emergenza i direttori generali delle aziende sanitarie. Il governatore alza il tiro (e la tensione nella maggioranza), ma non ci vuol molto a capire che imbraccia un fucile a tappo contro Icardi, difeso obtorto collo dal suo partito. L’epidemiologo di fama internazionale Paolo Vineis, chiamato in una delle task force, va giù duro e dice che manca una regia complessiva da parte di Icardi. Ma il fuoco di copertura per il governatore a nulla serve, se non a lasciare basiti di fronte a come la Regione, nelle sue varie declinazioni, è andata incontro alla seconda ondata del Covid. La stessa vicenda dei tamponi, tra ripetuti annunci di nuovi laboratori e continui ricorsi a società esterne, si scontra con le code cui sono costretti i piemontesi per fare i test. Direttori di Asl pronti a smentire la carenza dei reagenti poi ammessa dallo stesso assessore Matteo Marnati, superlaboratori come quelli di La Loggia e Novara non ancora al pieno della loro potenzialità, altri centri che elaborano tamponi assai meno di quanto dovrebbero.

Questa è la situazione in cui si trova il Piemonte non più davanti, ma nel pieno della seconda ondata. Una sfida per niente facile, ma affrontata con strategie confuse e con troppi generali. Senza che, ancora, si sia capito chi deve dare gli ordini e chi li debba eseguire. Intanto i soldati tirano su le tende vicino agli ospedali. 

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