CORONAVIRUS & SPORT

"Il sistema neve vuole lavorare, non ristori"

Una eventuale apertura deve essere concessa entro inizio dicembre altrimenti le perdite saranno ingenti. Parla Brasso, numero uno della Sestriere Spa: "La chiusura totale sarebbe un danno enorme, non solo per quest'anno"

“In questo momento non possiamo fare altro che aspettare, se poi ci danno in tempo utile la possibilità di fare qualcosa, anche ridotto, saremo ben lieti di farla, anche per rispetto al territorio sul quale operiamo e viviamo, se non ci diranno niente siamo pronti a star chiusi. Certo i soldi preferiamo guadagnarli lavorando, anche meno, anche perdendo qualcosa, piuttosto che andare a caccia di ristori”. È a tinte fosche il quadro che Giovanni Brasso, presidente della Sestriere Spa, fa dell’imminente stagione sciistica alla luce dell’emergenza Covid-19. “Ovviamente ci adegueremo a quello che decideranno le autorità competenti – aggiunge ai microfoni di Radio Veronica One –. Io in questo momento penso che gli impianti di risalita staranno chiusi, se poi il Governo, le Regioni, cambieranno opinione cercheremo di adeguarci, se avremo ancora i tempi tecnici per poterlo fare”. Brasso evidenzia che “i tempi di reazione di un’azienda come la nostra non sono quelli di un’azienda piccolina. Oggi prendiamo atto di quello che ha detto il premier, cerchiamo di tenerci pronti, magari anche a livello di aperture limitate, in caso cambiassero idea. Se la cambiano verso il 7 dicembre qualcosa si può fare se il 19-20 o dopo Natale non possiamo più far niente”.

In caso di chiusura quello per le stazioni sciistiche sarebbe “un danno enorme, in termini economici e di posti di lavoro, e non sarebbe limitato solo a quest’anno. Ci sono studi - spiega ancora Brasso – che dicono che per ogni euro speso sugli impianti 10 o 12 euro vanno sul sistema economico di prossimità. E se prendiamo come parametro di riferimento i 45-50 milioni di fatturato che fanno tutte le stazioni sciistiche del Piemonte, si vede la ricaduta economica di questo mestiere. Quanto ai posti di lavoro – aggiunge – solo in Val Susa, fra Bardonecchia e Via Lattea, credo si parli, compreso l'indotto, di 4-5 mila posti di lavoro”.

Il rischio, inoltre, è che non avendo più a disposizione le montagne italiane questo tipo di turismo si rivolga altrove. Un problema che per Brasso “rischia di trascinarsi per 4 o 5 anni perché se i tour operator invece che venire da noi vanno in Croazia o nelle stazioni della Bulgaria o della Turchia ci facciamo male non solo per quest’anno ma anche per gli anni a venire. Ci metteremo anni a recuperare il mercato degli stranieri che per noi sono importantissimi, con l'85% di clientela straniera da gennaio a marzo. Se poi – conclude – perdo anche i turisti delle altre regioni la vedo difficile aprire”.

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