EMERGENZA SANITARIA

Possiamo tenere tutto aperto
se facciamo più test rapidi

Secondo il virologo Di Perri non è necessario richiudere tutto, piuttosto sarebbe utile uno screening diffuso e vincolare l'ingresso nei luoghi chiusi a un risultato negativo. Poi la stilettata al Governo: "Si poteva investire su questo anziché sui monopattini"

Aperture sì ma con giudizio. E soprattutto con molti più tamponi. La ricetta per evitare nuove restrizioni a pochi giorni dall’allentamento la indica Giovanni Di Perri, responsabile delle Malattie infettive all’ospedale Amedeo di Savoia di Torino. “Io sono un riaperturista – ammette – ma non certo alle regole vecchie”. Secondo Di Perri “le riaperture devono essere accompagnate da un’opera finalizzata ad aumentare la protezione. Oggi abbiamo qualcosa che non avevamo prima: i tamponi rapidi. Potrebbero essere usati per vincolare l’accesso alle attività al chiuso: ristoranti, teatri, palestre, piscine, musei, cinema. Come fanno diversi Paesi orientali, come la Corea del Sud. Un test rapido costa poco e forse al posto dei soldi per i monopattini si poteva investire di più su questo”. Una stilettata a un Governo schizofrenico che un giorno apre e quello dopo chiude: “Non c’è abbastanza interesse da parte delle autorità per questo argomento. Non si tratta quasi mai – prosegue Di Perri –. È vero che la sensibilità di questi test è magari più bassa” rispetto al classico tampone molecolare, “ma i diffusori con quantità medio-alte di virus, e quindi anche i super diffusori, vengono intercettati e sarebbe già una grossa riduzione del cosiddetto danno”, spiega il virologo all’Adnkronos Salute.

“Già adesso si potrebbe applicare una strategia simile visto che i bar e i ristoranti sono aperti. Io andrei volentieri a pranzo in un locale dove so che tutti sono stati testati e sono negativi. Oggi il test lo possiamo far valere 3 giorni, in periodi come questi e vista l’elevata circolazione del virus, poi la validità potrà diventare più lunga, sono strumenti che si possono modulare”. Lungimiranza nelle strategie, auspica Di Perri per un’accettabilità della situazione più sul lungo termine. Il tutto mentre diversi Paesi europei si preparano a una stretta in corrispondenza delle Feste per contenere Covid, e spicca il caso Germania con l’annuncio di lockdown tra fine dicembre e i primi di gennaio da parte della cancelliera Angela Merkel. “Le situazioni sono diverse da Paese a Paese – osserva Di Perri – in Germania hanno meno casi di noi, ma sono in crescita come trend”, quindi l’ottica con cui si ragiona è diversa.

“Non solo: la Germania ha più margine di manovra e risorse di noi in questo momento”, anche sul fronte economico e sociale, “si è mossa forse prima sui ristori, ha meno malcontento nella popolazione" che dunque potrebbe accogliere meglio ulteriori misure restrittive. “Quello delle feste è un problema, in effetti. Bisogna, al di là di tutto, che il cittadino si accorga che il problema coronavirus c’è. Hanno avuto già due dimostrazioni importanti, la prima e la seconda ondata. Ora bisogna proteggersi, noi e la collettività. Soprattutto i nostri anziani. E questo è mancato. Capisco che le persone siano stanche, molte combattono con problemi di lavoro, vedono i bilanci familiari in difficoltà”. Quanto alle scene di folla per le strade di diverse città italiane, Di Perri non dispera: “Ciò che succede all’aperto mi preoccupa molto meno di quello che può succedere al chiuso. Bisogna dunque vedere se la circolazione vivace di persone corrisponda poi a situazioni incaute, come cene con numeri consistenti, festini, ressa nei negozi. Mi ricorda un po' lo scalpore per le movide di fine maggio, che fortunatamente non portò a nulla. Speriamo sia di nuovo così, ma dipende da noi”.

Secondo il virologo, inoltre, l’Italia nel fronteggiare questa epidemia ha pagato “un ritardo strutturale organizzativo edi risorse, dovuto al fatto che il Servizio sanitario nazionale è stato saccheggiato negli ultimi 15 anni. E quando c’è bisogno di massimizzare le risorse e reclutare persone per affrontare una crisi come questa, se le risorse si sono ridotte tantissimo negli anni, sia come strutture che come personale, si fa davvero fatica”. Per Di Perri “ci sono troppe scrivanie in sanità e poca gente sull’assistenza. Per il futuro mi auguro più lungimiranza”. Riguardo la terza ondata è un rischio che va fronteggiato con “organizzazione e responsabilità individuale. Abbiamo visto come funziona. Al ritorno dalle ferie estive l’età mediana degli infetti era 29 anni, a fine settembre 42, ora 45-50. Se penso al Piemonte, abbiamo visto un’impennata dell’infezione agli inizi di ottobre nella fascia 65-84 anni e questo inevitabilmente si traduce 20 giorni dopo in una crescita dei morti. L’Italia è un Paese vecchio e questo fattore incide tanto. Chi fa paragoni con altri Paesi non può non considerarlo: l’età mediana da noi è 48 anni, in Svezia 41. Possiamo citare come caso estremo Nairobi dove la mortalità è bassissima anche per la bassa età della popolazione. Ma gli anziani vanno protetti. E questa è la nostra responsabilità”.

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