VERSO IL VOTO

Il Pd mette la base in quarantena

Con le primarie in soffitta il partito non sa come decidere il proprio candidato sindaco di Torino. Amministratori locali ed eletti contro la sordina alla direzione. "In questi momenti si deve dare la parola agli organi dirigenti". Il pressing della "nuova generazione"

“Non serve un accordo con i Cinquestelle, ma competenza amministrativa e un progetto per Torino”. A poche ore dalla direzione di questa sera la base del Pd, che in larga parte si è già espressa con un documento dei consiglieri di Circoscrizione che in stragrande maggioranza (52 su 70) si sono schierati con Stefano Lo Russo, è attraversata da sentimenti contrastanti. Da una parte coltiva la speranza in un colpo di reni in grado di riscattare l’onta subita cinque anni fa, dall’altra assiste impotente al ribaltamento di una linea politica fino all’altro giorno condivisa da tutto il partito. E di un metodo, quello del confronto interno agli organi dirigenti e con i partner della coalizione, che per il Pd è (stato) qualcosa più di semplice procedura.

“Nel centrodestra si sono alzati una mattina e hanno indicato Paolo Damilano, noi siamo diversi” sottolinea Ernesto Ausilio, segretario del circolo Aurora e Vanchiglia. Secondo lui è “giusto presentare un documento in direzione e chiedere che venga votato”. Il tema non è dividersi o meno, e nessuno ha nostalgia del centralismo democratico, la cosa più importante è evitare che in assenza di una sintesi le decisioni vengano prese nei “caminetti” dei cacicchi locali o, peggio, a Roma, in tavoli su cui Torino non è che una pedina. “La politica prevede una discussione, dopodiché il segretario porta una proposta che va votata” ribadisce Michele Paolino, già capogruppo dem in Sala Rossa e membro della direzione. Tesi sostenuta anche dall’ex segretario provinciale Fabrizio Morri: “Un conto è cercare la maggior condivisione possibile delle proposte, altro è evitare di decidere per non lacerarsi. Quante volte, quand’ero segretario, abbiamo votato a maggioranza…”.

“Soprattutto nei momenti cruciali e di difficoltà mi piacerebbe che gli organi dirigenti potessero esprimersi” afferma anche Isabella Martelli, già segretaria di un altro circolo di “frontiera”, laddove il Pd ha vissuto con maggiore sofferenza lo sbrego con quegli strati della città che un tempo erano la base sociale ed elettorale della sinistra. È quello della Circoscrizione VI, dove oggi Martelli è coordinatrice della commissione Sport e Cultura, in quell’hinterland a Nord di Torino che nel 2016 ha consegnato il municipio al M5s e oggi minaccia di votare in massa per la Lega. Ed è proprio da questo presidio che Martelli pone l’accento sul difficile rapporto con l’amministrazione pentastellata: “In questi cinque anni i punti su cui si è lavorato insieme non sono tanti”. E a voler ascoltare i cittadini delle periferie “l’opinione diffusa è che i grillini abbiano deluso” prosegue Ausilio, che invita parlamentari e capataz “ad ascoltare gli elettori prima di parlare di stipulare accordi al primo o al secondo turno”.

Il timore, che certe avventate (e mendaci) smentite non riescono a fugare, è che tra i comandanti in capo ci sia già stato più di un ammiccamento e che la crisi di governo possa in qualche modo aver spinto ulteriormente il Pd tra le braccia del suo principale alleato a Roma. “Ma qui siamo a Torino” è l’ammonimento.

Non è ancora chiaro che piega prenderà la direzione di questa sera, anche se sembra verrà evitato ogni atto che possa sembrare una “forzatura” o uno “strappo”, e come tali essere utilizzati strumentalmente dagli autori di quella “narrazione” che descrive all’esterno un partito diviso e lacerato nella scelta del candidato sindaco. “In verità, il Pd torinese non è mai stato così compatto, almeno sugli obiettivi e sul percorso”, giura un consigliere di quartiere che adduce a “forze esterne” e agli “interessi personali” di qualche parlamentare che trova legittimazione del proprio ruolo “nell’alimentare un clima di perenne destabilizzazione”. Il segretario Mimmo Carretta è orientato a pronunciare una relazione in cui innanzitutto verranno archiviate (o quasi) le primarie, poi il numero uno della Federazione metropolitana traccerà una deadline entro la quale i nodi dovranno essere sciolti (tre settimane al massimo) e infine rivendicherà il compito del partito torinese nell’assunzione delle decisioni.

Intanto, dopo quello dei consiglieri di Circoscrizione, c’è un nuovo documento in circolazione, sottoscritto dai sindaci della città metropolitana, essendo il prossimo sindaco del capoluogo anche numero uno di quella che fu la Provincia. Promosso dal primo cittadino di Grugliasco Roberto Montà, il testo finale uscito da un parto piuttosto travagliato (con ingerenze di qualche maggiorente della sinistra, in primis Anna Rossomando) non manifesta una preferenza secca per Lo Russo, a differenza di quello degli eletti nei quartieri, ma pare andare nel medesimo solco, soprattutto nel passaggio in cui si sostiene che “occorre una classe dirigente competente e dinamica, è tempo che una generazione si assuma la responsabilità di guidare il nostro Partito e la coalizione verso l’amministrazione di Torino”. E a giudicare dall’età media dei sindaci metropolitani sembra chiaro quale debba essere la generazione in questione.

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