CRISI DI GOVERNO

Nessun transfuga tra i piemontesi, tutti bogianen sulla fiducia a Conte

Ligi agli ordini di scuderia non vi sono state defezioni né alla Camera né al Senato. Persino i principali "sospettati" hanno smentito i rumors della vigilia. Per ora. Le assenze di Portas a Montecitorio e di Marino a Palazzo Madama e il no dell'ex grillino Martelli

Bogia nen. Nessuno dei 22 senatori piemontesi, o per meglio dire eletti in Piemonte vista la presenza di alcuni paracadutati, si è mosso dalla propria posizione nell’Assietta di Palazzo Madama che ieri sera si è chiusa con la striminzita maggioranza a sostegno del Governo. Tutti i parlamentari dei vari partiti hanno votato in linea con i rispettivi gruppi, anche se fino agli ultimi minuti non sono mancati tentativi di “convincimento” e nelle ore, così come nei giorni precedenti si erano rincorse voci di possibili aiuti all’esecutivo di Giuseppe Conte sia da parte di esponenti del centrodestra, sia di Italia Viva. Si vedrà nelle prossime ore, con il probabile intensificarsi del pressing per dar vita a un gruppo di costruttori, la fermezza di tali posizioni.

Proprio il partito di Matteo Renzi che, con le dimissioni delle due ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, oltre al sottosegretario Ivan Scalfarotto, ha aperto la crisi era (e sarà nei prossimi giorni) il principale obiettivo della maggioranza nel tentativo di convincere parlamentari dell’ex rottamatore a non astenersi e votare, invece, la fiducia. Da qui il rincorrersi di voci, interessate o meno, che in questi ultimi giorni ha avuto come oggetto il senatore torinese Mauro Maria Marino. Complice lo strano e prolungato silenzio del parlamentare alla sua quinta legislatura, costretto a casa dal Covid, i rumors su un suo possibile appoggio al Governo hanno affollato chat di allarmati militanti e alimentato speranze degli ex compagni di partito, quel Pd di cui Marino era stato candidato per guidare la segreteria regionale quando ancora Renzi non aveva strappato costituendo la nuova forza politica. Questioni, dubbi e supposizioni che manco avevano sfiorato l’altra parlamentare piemontese di Italia Viva, la deputata Silvia Fregolent il cui appellativo di renzianissima portato come una medaglia al valore non avrebbe certo potuto alimentare un ossimoro con un atteggiamento verso il governo differente da quello indicato dal capo.

Non unico il caso di Marino: anche un altro senatore era finito nel novero di coloro che, in base a supposizioni o auspici di altri, avrebbero potuto fare da stampella a Conte. A sgombrare il campo dalle voci e dai sospetti circa un sui possibile aiuto al Governo giallorosso, il senatore Massimo Berutti, ex azzurro tra i primi ad aderire a Cambiamo di Giovanni Toti ci ha pensato con un netto comunicato diffuso mentre a Palazzo Madama si votava. “Tra i primi abbiamo chiesto che il presidente del consiglio riferisse in Parlamento sulla crisi in corso. Oggi Conte ha parlato in Senato. Lo abbiamo ascoltato con attenzione. Abbiamo sentito il mero elenco delle cose che il Governo dovrebbe aver fatto o verrebbe fare. Numeri improbabili e nessuna visione – spiega il senatore di Tortona –. Conte ha detto che non si spiega la crisi, che non era il caso di crearla. Ha accusato i suoi alleati di disseminare mine sul loro stesso percorso”. Berutti ribadisce: “Non avevamo dubbi su come votare, ne abbiamo avuti ancora meno dopo aver ascoltato Conte. Per questo, soprattutto in questa occasione, abbiamo convintamente votato no alla fiducia al Governo”. Per il parlamentare totiano “probabilmente questa compagine andrà comunque avanti, ma noi restiamo alternativi e propositivi con l’obiettivo di mettere in campo una capacità progettuale concreta e proposte solide per ridisegnare il Paese dal punto di vista socio-economico e fronteggiare la pandemia. Siamo dunque lontani da questo ssecutivo e al fianco del Paese migliore. Non quello delle crisi di palazzo, ma quello di chi ogni giorno lavora con concretezza per sé stesso, la propria famiglia e la nostra comunità nazionale”.

Tutti in linea con i rispettivi partiti, compreso chi il suo lo ha costruito anni fa e lo governa da allora in una sorta di monarchia ad orizzonti variabili. Giacomo, “Mimmo”, Portas il leader dei Moderati che siede alla Camera nel gruppo di Italia Viva come indipendente non ha votato la fiducia perpetuando la tradizione inaugurata dall’insediamento del governo giallorosso che mai lo ha visto dare il suo sì, anche in ossequio al suo niet all’alleanza (tanto più sotto la Mole) tra Pd e M5s. Ha tentato fino fino all’ultimo se non di far ragionare Renzi (impresa pressoché impossibile) almeno di ricucire lo strappo invitando a “lasciar perdere i personalismi” e siglare un “nuovo patto di legislatura” tra Pd e il suo ex segretario. Vox clamantis in deserto. E sempre a Montecitorio non vi sono state sorprese neppure nelle fila azzurre, dove da tempo si agita la coppia di Giaveno – Daniela Ruffino e Osvaldo Napoli – forse in attesa delle decisioni di Mara Carfagna e dell’voluzione dei rapporti di forza interni al centrodestra.

Tutti allineati e coperti, come si diceva sotto la naja. E neppure le più decise avances degli ex compagni di (non) partito sono riuscite a smuovere un altro senatore piemontese, corteggiato e tampinato dalla buvette ai bagni di Palazzo Madama. Carlo Martelli, novarese, docente universitario a contratto, nella scorsa legislatura era arrivato in Parlamento con i Cinquestelle. A ridosso delle elezioni del 2018 saltarono fuori i grillini inadepienti all’obbligo di versare parte dello stipendio parlamentare e Martelli fu tra questi. Promise di rinunciare all’elezione. Pur essendo novarese, la promessa fu da marinaio, il professore tornò a Roma e si iscrisse al gruppo misto. Ieri i suoi ex compagni di partito hanno cercato di far scorrere l’acqua sotto i ponti e mettere una pietra sopra quei peccati veniali rispetto alla posta in gioco. Il ministro dei Rapporti con il Parlamento Filippo D’Incà, uomo di peso del M5s, lo prende sottobraccio alla buvette. Il voto di Martelli – nomen omen di quanto sia cambiata la politica rispetto alla troppo bistrattata Prima Repubblica – è preziosissimo allontanandosi l’asfaltatura di Renzi promessa da Rocco Casalino e l’obiettivo dei 161 voti per la maggioranza assoluta. Anche il peones novarese, la cui notorietà resta legata alla faccenda dei mancati versamenti (poi ripianati), diventa importante. Niente da fare: voterà no. Anche lui, come gli altri piemontesi, bogia nen.

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