PIEMONTELLUM

Legge elettorale ancora al palo

Un ampio fronte stoppa il blitz di Grimaldi (Luv) che richiama il suo testo di riforma in aula: "Mossa propagandistica". E così tutto torna in Commissione dove si tenterà di unire le proposte di Lega e Pd. I due nodi: abolizione del listino e rappresentanza femminile

Ennesima puntata della telenovela (metafora ancor più calzante viste le riunioni dell’assemblea di Palazzo Lascaris in videoconferenza) che si trascina sulla legge elettorale regionale, senza peraltro lasciar intravvedere un finale a breve. Oggi approderà virtualmente in aula il testo presentato da Marco Grimaldi, capogruppo di Luv, anche se tutto lascia prevedere una assai fugace apparizione seguita da altrettanto rapido ritorno in commissione su richiesta della maggioranza di centrodestra. Questo senza che il Pd ponga il minimo ostacolo visto lo stupore tra i dem, per non dire la contrarietà, all’iniziativa dell’esponente della sinistra il quale, come si sussurra nelle chat che hanno sostituito i corridoi, “ha voluto fare una corsa in avanti che non si comprende se non come una mossa di propaganda”. Intestarsi la primazia sulla doppia preferenza di genere, (peraltro contemplata in tutte le proposte delle varie forze politiche giacché imposta dalla sentenza della Corte Costituzionale) nel momento in cui nel Pd brucia ancora la ferita aperta dall’assenza femminile nella compagine ministeriale con conseguenti polemiche interne, da parte di Grimaldi non è solo una corsa in avanti ma è stato letto dai dem come un colpo basso. E inatteso.

Mercoledì in conferenza dei capigruppo era stata decisa per il giorno dopo la prima riunione di un gruppo di lavoro sul nuovo sistema elettorale per il Piemonte. Riunione sconvocata dal presidente del consiglio regionale Stefano Allasia quando Grimaldi ha chiesto la discussione in aula della sua proposta. Una proposta di legge che, però, contiene quel che le altre dal testo della Lega a quello del Pd intendono eliminare: il listino bloccato del presidente, quei dieci nomi legati al candidato governatore che, in caso, di vittoria entrano così come sono entrati fino all’attuale legislatura senza dover prendere neppure una preferenza. Anche per questo nessuno oggi si straccerà le vesti davanti al ritorno in commissione del testo di Grimaldi. Seppur, sotto sotto a non pochi l’idea della lista bloccata, continui ad esercitare la sua attrazione, nessuno può tornare indietro dopo aver predicato per anni l’abolizione del listino.

Già, per anni. Perché quello del nuovo sistema elettorale regionale è un cammino della lentezza. E pure, un po’, della vergogna. Si iniziò a parlarne come di una riforma da fare in poco tempo quando alla presidenza della regione c’era il leghista (oggi azzurro) Roberto Cota. Poi arrivò Sergio Chiamparino. “Si può fare, non ci vuole molto” disse il Chiampa nell’aprile del 2015, pochi mesi dopo la sua elezione. Come una delle note profezie del suo successore a Palazzo Civico Piero Fassino, la previsione dell’ex governatore s’infrangerà contro lentezze quasi mai casuali, ostacoli posizionati artatamente da una parte dell’allora maggioranza di centrosinistra allarmata dalla redistribuzione dei seggi e da quella necessità di fare a meno della blindatura del listino. Eletti a Torino contro eletti nel resto della regione in vista di una contesa a suon di voti che la riforma avrebbe cambiato. 

Per non dire di quando un fronte femminile allargato anche ad esponenti della Lega, come l’allora capogruppo Gianna Gancia, oggi europarlamentare, cercò di aprire un varco per la doppia preferenza di genere. Buon viso a cattivo gioco tra più di un dem di fronte a quegli adesivi appiccicati alle loro giacche, portati con meno disinvoltura di una macchia di sugo sul bavero. E poi tra ultimatum, penultimatum, bandiere bianche e spugne gettate, passando dalle promesse e i tentativi di più di un presidente dell’assemblea di via Alfieri, prima Mauro Laus, poi Nino Boeti, il quinquennio che s’era aperto con lo yes we can di Chiamparino di fronte al Piemontellum, si chiuderà con un miserrimo sulla di fatto.

“Se la Regione non si adegua il Governo è pronto a intervenire” avverte in piena estate lo scorso anno l’allora ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia. “Ora la Regione deve adeguarsi alla normativa nazionale, prima che intervenga il Governo con un decreto e attuando i poteri sostitutivi, come giustamente paventato dal ministro Boccia”, diranno all’epoca le parlamentari dem Anna Rossomando e Chiara Gribaudo, dopo cinque anni in cui il loro partito ha governato il Piemonte senza dargli l’annunciata nuova legge elettorale. “Bisogna fare in fretta” avvertiva mesi fa il capogruppo piddino Raffaele Gallo che oggi ribadisce quell’esortazione e ricorda come la proposta di legge del suo partito oltre alla doppia preferenza di genere, spazzi via il listino ponendo tre soglie per il premio di maggioranza, senza di fatto toccare gli attuali collegi.

La maggioranza, con il testo presentato dal leghista Michele Mosca, si dice pronta a fare quel che da anni viene annunciato senza essere poi tradotto in concreto. “Credo che sia un testo che può trovare ampia condivisione e che di fatto per molti aspetti è coincidente con quello del Pd”, osserva Allasia che dallo scranno più alto dell’emiciclo sembra fare attenzione a non finire nel novero dei suoi predecessori con annunci rimasti tali. “È una riforma che va fatta. Non è il provvedimento più urgente e atteso in questo periodo – osserva – ma credo che ci possano essere le condizioni e i numeri per varare la nuova legge entro la fine dell’anno”. La riunione del gruppo di lavoro fissata per giovedì scorso poteva essere un piccolo passo avanti, ma l’iniziativa di Grimaldi lo ha fatto saltare. E oggi sugli schermi dei consiglieri comparirà l’ennesima puntata della telenovela. Ormai stucchevole.

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