LA VITA OLTRE IL COVID

Rischio ragionato, il Piemonte è pronto

Con dati da zona gialla la regione si prepara alla ripresa del 26 aprile. All'aperto la trasmissione del contagio è "minima" quindi nessuna preoccupazione per caffè e pasti nei dehors, spiega l'infettivologo Di Perri. Attenzione però alle scuole: nulla si è fatto per i trasporti

Una settimana di countdown. Si conteranno i giorni, come quando si avvicinano le feste, perché l’auspicato ritorno a qualche cosa che faccia assaporare il gusto di un pur lento riavvicinarsi alla normalità ha pure il sapore della festa, almeno nell’attesa. Riaprire per non soccombere e per cercare di vincere la disperazione. Se i dati continueranno a seguire l’andamento di questi giorni, il Piemonte potrà tingersi di giallo con la conseguente applicazioni delle aperture annunciate dal presidente del consiglio. 

“Con la posizione assunta da Mario Draghi, abbiamo la prova che il nuovo Governo ascolta i territori e le Regioni”, osserva compiaciuto il presidente della Regione Alberto Cirio che ricorda come “in questi giorni abbiamo fatto un grande lavoro con i nostri dipartimenti di prevenzione per presentare delle linee guida che garantissero di poter riaprire in sicurezza e siamo lieti che il Governo se ne sia fatto interprete subito, con il Comitato tecnico-scientifico nazionale. Perché non si può più aspettare: dove le attività economiche e commerciali possono riaprire in sicurezza devono poterlo fare”. Lo si farà, come ha detto lo stesso Draghi, assumendo “un rischio ragionato”, che poi sarebbe diventato presto “calcolato” e “calcolato male” per chi, come l’infettivologo del Sacco di Milano, Massimo Galli, solleva fortissime perplessità e preoccupazioni.

Ma guardando ai dati del Piemonte, dai ricoveri che pur lentamente ma con costanza decrescono al numero di casi positivi rapportati alla popolazione, le riaperture dal prossimo 26 aprile sono un rischio calcolato bene o male?  “Non è questione di Piemonte, dove pure i dati sono piuttosto buoni. Il fatto è che ogni riapertura non è mai uguale alla precedente, si tratta di situazioni che presentano elementi nuovi”, risponde il professor Giovanni Di Perri primario di Malattie Infettive all’Amedeo di Savoia. “In questo caso abbiamo un elemento favorevole dato dal fatto che almeno un quarto della popolazione è immunizzata o attraverso l’infezione contratta in precedenza o almeno una prima dose di vaccino. Vi sono però due fattori sfavorevoli: numeri ancora alti e la variante inglese che si trasmette di più e che ormai riguarda la stragrande maggioranza dei casi”. 

Pur di fronte agli 865 positivi censiti ieri su 23.456 tamponi eseguiti, Di Perri spiega come sia “logico supporre che i casi reali siano perlomeno il doppio se non anche di più. Numeri ancora troppo pesanti”, che devono far ragionare su cosa non abbia funzionato come avrebbe dovuto.Non gira attorno alla questione, l’infettivologo: “Veniamo da una zona rossa che non è stata nemmeno rosa, c’era un traffico spaventoso. Sono stati penalizzati solo alcuni esercizi, ma per il resto… l’unica vera chiusura è stata quella della scuola”.

Dunque, forse il rischio è stato calcolato male prima, quando a confronto con la prima ondata il rispetto delle prescrizioni e i controlli non sono paragonabili. I risultati sono “quei diari che raccogliamo per ogni caso che arriva in ospedale e che ci raccontano di inviti a cena, di leggerezze dei contatti, di visite a parenti e amici che non sarebbero dovute avvenire. Vedo tante lacrime di coccodrillo, adesso. È brutto, è doloroso, ma porta a pensare che non ci sia più quella percezione della tragedia e dei rischi. Capisco, la gente è stanca”. E vuole tornare anche al ristorante, sia pure anche solo all’aperto. “Ma all’aperto va benissimo, il rischio di contagio si abbassa a livelli davvero minimi. Se io accendo un sigaro a tre metri da lei in una stanza lei avverte subito l’odore, se lo faccio fuori neppure lo sente. Immaginiamo che il virus sia il fumo”.

I ristoratori dicono da sempre di voler riaprire in sicurezza, ma la sicurezza è il plexiglas fatto acquistare mesi fa, sono i due metri di distanza?  “Questa storia la sento da sei mesi. Mi devono spiegare cosa intendono. La differenza della distanza tra una persona e l’altra all’interno di un locale. Guardi se siamo in 30 rischiamo in 30 se siamo in 15 rischiamo in 15. Il virus con questa variante inglese si trasmette molto più facilmente di prima e gli ambienti chiusi sono ad alto rischio. In alcuni casi si potrebbe limitare l’accesso a chi è immune perché ha fatto il Covid, oppure è stato vaccinato o ancora ha fatto un tampone entro le 48 precedenti ed è negativo. Si ridurrebbe di molto la possibilità di far circolare il virus”. Perché, come spiega Di Perri, “più circola e più c’è la probabilità che muti, che si formino varianti nuove e magari resistenti all’immunizzazione. Questo è un rischio che va calcolato”.   

Nel Piemonte che i parametri di oggi indicano di fatto già pressoché giallo, riapriranno anche le scuole, senza che nulla sia cambiato. Nulla sul fronte ad alto rischio dei trasporti, “che resta un tema pesante e per il quale mi sarei atteso dal Governo una indicazione di obbligo, perlomeno, per l’utilizzo delle mascherina Ffp2, mentre si vede ancora in giro gente con le chirurgiche magari la stessa indossato per giorni o altre che il virus non lo fermano”. Ma sul fronte della scuola, Di Perri, insiste ribadendo l’importanza dei temponi. “Costano pochi se ne possono fare tantissimi. Se consideriamo che la variante inglese si diffonde molto nell’età scolastica, specie quella delle superiori, sono fondamentali il controllo e il tracciamento”. Purtroppo il progetto scuola sicura, varato mesi fa dalla Regione, non ha ricevuto quella attesa risposta di partecipazione. Anche su questo, il mondo della scuola e le famiglie, tra legittime proteste per la didattica a distanza e conseguenti richieste di tornare a lezione nelle aule, dovrebbero fare una riflessione. Calcolando il rischio.

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