EMERGENZA SANITARIA

Non più solo ricoveri per Covid.
Ritorno (graduale) alla normalità 

Direttiva del Dirmei ai direttori generali: ripristinare appena possibile i reparti delle varie specialità. Riapertura delle liste d'attesa. L'assessore Icardi: "Chiesti a Speranza fondi per prestazioni aggiuntive". Al Piemonte dovrebbero andare 40 milioni

I numeri del Covid negli ospedali continuano a scendere. Diminuiscono i letti occupati nei reparti di degenza, così come quelli delle terapie intensive sia pure rimanendo, questi ultimi, ancora sopra la soglia critica. Se questa tendenza continuerà, come molto lascia supporre e sperare, si avvicina il momento in cui si potrà e si dovrà ricominciare a fornire quelle prestazioni sanitarie – dagli interventi chirurgici a una serie di terapie passando per le visite ambulatoriali – che la terza ondata ha, come nei casi precedenti, bloccato limitando le eccezioni a un ristretto novero di urgenze e indifferibilità.

Dal Dirmei sta per partire nelle prossime ore una comunicazione a tutti i direttori generali delle Asl e delle Aso in cui si dà disposizione di iniziare a procedere con le riattivazioni delle cure e degli interventi così come delle visite. Una decisione, quella assunta dal dipartimento di concerto con l’assessorato, che anticipa l’analisi dei piani richiesti un paio di settimane fa alle stesse aziende. “Dobbiamo valutarli con attenzione anche se siamo certi della loro rispondenza alle situazioni che ci sono in ogni singola struttura ospedaliera – spiega il direttore del Dirmei Emilpaolo Manno – Tuttavia si è ritenuto che le attuali condizioni consentano e in qualche modo impongano l’avvio di un ritorno verso la normalità, anche in attesa dell’analisi dei programmi predisposti dalle aziende”.

Già dai prossimi giorni, dunque, si dovrebbe imboccare la strada per uscire dal blocco scattato ai primi di marzo, quando lo stesso Dipartimento per le malattie infettive e le emergenze aveva disposto la sospensione dei ricoveri No Covid, escluse le urgenze, le ospedalizzazioni oncologiche e quelle in cosiddetta fascia “A”, cioè da effettuare entro 30 giorni. Erano state differite anche tutte le attività ambulatoriali, a eccezione di quelle urgenti, da garantire entro 72 ore o entro i 10 giorni, così come gli screening oncologici. Dopo un periodo così lungo di sospensione di gran parte delle attività ospedaliere anche un solo giorno di anticipo risulta prezioso.

“Come la trasformazione dei vari reparti in reparti Covid è avvenuta progressivamente, sia pur in alcuni casi molto in fretta per rispondere all’emergenza, altrettanto progressivamente dovrà avvenire il ritorno alla normalità, utilizzando tutti i reparti che si andranno svuotando come per fortuna sta accadendo da giorni”, spiega l’assessore alla Sanità Luigi Icardi. Una mole enorme di cure, esami, visite, interventi rinviati e accumulati ormai da oltre un anno che anche il sistema sanitario pre-pandemia non sarebbe stato in grado di assorbire, tant’è che quello delle liste d’attesa era uno dei problemi principali ancor prima che tutto venisse stravolto dal Covid. Serviranno dunque più risorse, più personale per recuperare nei prossimi mesi – sempre che i numeri dei contagi e dei ricoveri lo consentano – quelle prestazioni sospese che proprio il loro essere rinviate ha portato ad aggravamenti di molti pazienti. Per questo motivo “ho chiesto, come coordinatore della commissione Salute in Conferenza delle Regioni a Roberto Speranza, di mettere anche nel bilancio 2021 i 500 milioni per le liste d’attesa”, ricorda Icardi. 

Il ministro ha dato la sua assicurazione e “speriamo che quei soldi che per il Piemonte dovrebbero essere circa 40 milioni arrivino presto. Serviranno per pagare prestazioni aggiuntive e altri interventi per dare una risposta a tutti i malati non Covid”. Nel frattempo gli ospedali del Piemonte, in questi giorni, dovranno aprirsi sia pure gradualmente e con tutte le garanzie sotto il profilo della sicurezza a quei pazienti che aspettano ormai da mesi. Un ritorno verso la normalità che presenta però qualche ostacolo, visto che “molti anestesisti – spiega il direttore del Dirmei – sono ancora impegnati nelle terapie intensive Covid”. 

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