CAPITALISMO MUNICIPALE

Iren, Genova stacca la spina a Bianco (e punta a declassare Torino)

A fine mese si chiude l'era del manager che ha portato la multiutility a conseguire brillanti risultati. Al suo posto l'ex ad di Terna Ferraris. L'asse tra il sindaco della Lanterna Bucci e gli emiliani per i nuovi assetti di governance. Ai piemontesi "solo" la direzione

La decisione sarebbe stata maturata sull’asse tra Genova e Reggio Emilia, tagliando fuori Torino, che rischia di diventare sempre più marginale nei nuovi assetti che riguardano Iren, la multiutility del Nord-Ovest. Dal 1° giugno, con ogni probabilità, si concluderà l’era di Massimiliano Bianco alla guida dell’azienda, dove sarà sostituito dall’ex amministratore delegato di Terna, Luigi Ferraris, tra i top manager del settore. Un avvicendamento considerato ormai scontato che arriva all’indomani dell’approvazione di un bilancio chiuso con oltre 3,7 miliardi di ricavi e un dividendo di 9,5 centesimi per azione che la società distribuirà ai propri soci. Performance che tratteggiano con i numeri il profilo di un’azienda in salute che ha saputo superare brillantemente anche la buriana Covid come dimostra il margine operativo lordo in crescita a 927 milioni di euro. Numeri che, tuttavia, non sono bastati a Bianco, al vertice operativo dal dicembre 2014, per ottenere una conferma: “In azienda si comanda uno per volta, c’è un padrone e i manager eseguono gli ordini del padrone” è la battuta attribuita al sindaco di Genova Marco Bucci fatta a chi chiede spiegazioni di un divorzio almeno in apparenza difficile da spiegare. La decisione sarebbe stata presa con il beneplacito di Cesare Beggi, ex sindaco di Quattro Castella, che per conto di Iren tiene i rapporti con i Comuni emiliani. A Chiara Appendino non è rimasto che prenderne atto.

Un terremoto che colpisce i vertici aziendali proprio mentre i soci stanno discutendo i patti parasociali nei quali Torino appare sempre più marginale, nonostante lo sforzo compiuto, tramite la Città Metropolitana, per acquisire quel 2,5 per cento di azioni cedute a fine 2018 da Palazzo Civico per far quadrare i propri conti. Un’operazione costata all’ex Provincia 82,2 milioni, grazie alla quale la quota azionaria riconducibile al capoluogo piemontese è salita dal 13,8 al 16,3 per cento ma che non ha cambiato nulla nei rapporti di forza tra i soci pubblici legati al patto di sindacato. Genova, infatti, resta la più forte con il suo 18,8% (cui va aggiunto l’1,9% di La Spezia e degli altri Comuni della provincia), al secondo posto c’è il polo emiliano dopo che la Città di Parma è rientrata interamente nel patto di sindacato così da sterilizzare l’operazione compiuta da Appendino. Cosa è successo lo ha spiegato bene l’assessore al Bilancio di Parma Marco Ferretti, illustrando a fine aprile la delibera con cui ha blindato le proprie azioni nella multiutility. Parlando in termini di voto maggiorato “unendoci al Comune di Reggio Emilia e ad altri comuni reggiani, che detengono 22,63%, arriveremmo al 29,13%, che è più del 28,35% in mano a Torino”.

Una vera beffa, non c’è che dire, che si consuma proprio mentre viene ridiscusso un patto che scadrà nel 2022. A trattare per conto della prima cittadina in scadenza (altra condizione che la rende meno forte rispetto ai colleghi) è Maurizio Irrera, il più trasversale degli avvocati d’affari torinesi: in Iren per conto dell’amministrazione pentastellata, nel board di Finpiemonte per scelta di Fratelli d’Italia e da qualche giorno vicepresidente della Fondazione Crt.

In questa fase Torino paga anche la debolezza di alcune figure nominate ai vertici proprio da Appendino, a partire dal presidente Renato Boero che, nel corso del suo mandato, ha perso buona parte delle sue deleghe gestionali relegato a un ruolo di “campanello”, mentre Bianco è stato il vero artefice di ogni scelta strategica compiuta dall’azienda. E ora Torino potrebbe dover rinunciare alla designazione del presidente (che passerebbe agli emiliani) ottenendo in cambio quella del direttore generale, una figura sin qui assente e che verrebbe creata ad hoc per favorire la spartizione tra i soci. “Sarà poco più di un mero esecutore delle decisioni dell’ad” assicura una fonte interna a Iren, a dimostrazione di come il capoluogo piemontese in cinque anni abbia perso la golden share sull’azienda che ha contribuito a fondare.

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