POLVERE DI (5) STELLE

Appendino vice Conte dimezzata

Lanciata nelle alte sfere nazionali del nuovo M5s, a Torino la sua stella è ormai prossima a eclissarsi. Ha ingoiato il rospo della candidatura a sindaco della Sganga ma più che alla campagna elettorale pensa al suo futuro (e a impedire la vittoria di Lo Russo)

A Fra' che te serve? Lei non era ancora nata quando quella frase battezzò per sempre uno dei bracci destri più celebri della prima Repubblica, perché Franco Evangelisti lo fu del Divo Giulio nei lunghi anni del potere democristiano. Poi vennero altri vice, altri delfini in altri partiti. Spesso mancati, spesso frenati nelle aspirazioni e in qualche tentato parricidio politico. Adesso pare proprio tocchi a lei, Chiara Appendino, “quella brava” come sta ancora scritto sulla medaglia che troppo in fretta le appuntarono al suo esordio in contemporanea con Virginia Raggi cui toccò invece l’essere un po’ la Cenerentola rispetto alla Biancaneve del Cit Turin. Per la sindaca di Torino il ruolo di numero due, vicaria secondo anticipazioni degne di attendibilità, dell’ex avvocato del popolo oggi capo politico del movimento ormai quasi partito pare più che probabile.

Il nuovo statuto consente all’ex premier, eletto in una consultazione bulgara, di nominare più di un vice. Pare saranno addirittura cinque e, quindi, si capisce l’importanza di quel vicariato per fare la differenza della sindaca rispetto agli altri. “Siamo con te, presidente”, s’era affrettata a scrivere per far capire al volo da che parte tira il vento, non di meno a posizionarsi. “C'è un Paese che ha bisogno di speranza, di fatti concreti, di visione, e di tornare a vedere un futuro nuovo su cui lavorare insieme”. What else?, direbbe George Clooney. Che altro?, per la giovane grillina che smentì, in parte, la forse più rischiosa profezia di Piero Fassino, “Un giorno lei si segga su questa sedia e vediamo se poi sarà capace di fare tutto quello che oggi ha auspicato di poter fare”. Sì, in parte, perché su quella sedia si sedette e c’è ancora per qualche mese, ma aver dimostrato di saper fare tutto quel che aveva auspicato e annunciato, no Appendino non c’è riuscita.

Ma è riuscita e riesce, invece, a proseguire la sua carriera inanellando consensi apprezzamenti più fuori che all’interno della sua città. Chi pensa male, per tornare a Giulio Andreotti, farà peccato ma forse c’azzecca nel dire che chi la conosce meno la apprezza politicamente di più. Anche se in politica, sapere evitare ostacoli e imboccare le strade giuste resta comunque una qualità. Di cui lei non difetta: non solo la decisione di non ricandidarsi, ma il suo stesso evidente disimpegno nella campagna elettorale per la sua successione suonerebbero strani per chi è proiettato verso il vertice del suo partito, giacché anche questo termine aborrito è destinato ad entrare presto nel vocabolario contiano post-grillesco. Certo, ha dovuto ingoiare il boccone amaro della candidatura di Valentina Sganga, però pur adducendo la ineccepibile giustificazione del non voler mescolare l’amministrazione con il movimento, ha tuttavia negato alla candidata qualsiasi sostegno da parte del suo staff. A dispetto dell’immagine di Giovanna d’Arco appioppatele per la sua foga fustigatrice degli inizi, Appendino non ha affatto la vocazione al martirio e di fronte a una sconfitta pressoché sicura si è trincerata dietro le regole del movimento e rispedito al mittente ogni invito a tentare il bis.

Nella contesa elettorale di ottobre pare piuttosto interessata a delineare attorno a sé il perimetro di alleanze politiche che non a tirare la volata alla candidata sindaca, a ribadire un suo peso in città che non a creare le condizioni per il passaggio del testimone, a garantirsi un futuro anche a costo di negarlo ad altri. Per evitare che le urne diventino il giorno del (suo) giudizio ha provato fino  all’ultimo di stringere quell’alleanza con il Pd, gabbia in cui avrebbe imprigionato i dem a quel punto impossibilitati a criticare i cinque anni della sua amministrazione. Le cose sono andate diversamente e ora sono più i sentimenti di vendetta che non i ragionamenti politici a ispirare le sue mosse: il suo principale obiettivo è la sconfitta di Stefano Lo Russo, il capo dell’opposizione in Sala Rossa che tante rogne (pure giudiziarie) ha procurato. “Torino non può tornare indietro”, disse nell’ottobre dello scorso anno quanto annunciò la decisione di non ricandidarsi, poi seguite da parole al miele verso Paolo Damilano: “Paolo è una persona che conosco bene, che stimo, stiamo lavorando insieme per le Atp Finals, e penso abbia fatto una scelta coraggiosa a decidere di fare politica e auspico che ci siano tante persone che abbiano voglia di fare questa scelta coraggiosa”. 

Chi non la conosce la adora? Il dubbio resta. Ma restano anche dei numeri che spiegano quanto peso e quanta forza la figura della sindaca abbia avuto nei destini torinesi e piemontesi della sua forza politica di cui si appresta a diventarne vice-leader. Nel 2016 il M5s prende il 30,01% e lei il 30,92%. Un incremento pressoché irrilevante. Due anni dopo nel pieno fulgore della nuova amministrazione cittadina, alle politiche i grillini scendono al 23,5%, proprio mentre registrano l’exploit a livello nazionale. “Le urne ci restituiscono un risultato storico per il M5s. Congratulazioni a Luigi Di Maio e a tutte le persone che ci hanno sostenuto in questa difficile campagna elettorale”, fu il suo commento con annessa giustificazione per il deludente esito a Torino: “In questo anno e mezzo abbiamo fatto alcune scelte dettate dal gravoso impegno di rimettere in ordine i conti della città per evitarne il dissesto”. Per non dire della catastrofe alle Regionali, dalla cui campagna elettorale per Giorgio Bertola candidato alla presidenza si tenne più che a distanza di sicurezza senza che si ricordi un evento con lei, quando a Torino il movimento si ferma al 13 per cento. 

Per contro altri obiettivi li ha raggiunti. Con le Atp Finals portate a Torino è arrivato per lei un posto tra i vicepresidenti di Federtennis. Il resto è il minimo sindacale o poco più. Ma la capacità di promuoversi, di restare “quella brava” agli occhi di chi non ha provato il quinquennio del suo mandato, di annusare il vento e puntare la prua evitando tempeste, sono comunque doti. Che non possono non piacere a chi è intenzionato a sceglierla come braccio destro. A Chia', che te serve?

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