LOTTA AL COVID

Sanitari no vax, "troppi ritardi".
Dall'ex pm un "avviso" alle Asl 

In Piemonte neppure una sospensione dal lavoro per medici e infermieri non vaccinati. Si aspettano ancora gli elenchi dalle aziende sanitarie. Un grave vulnus per la salute dei cittadini. Rinaudo batte i pugni: "I nodi devono venire al pettine"

C’è il medico del Pronto Soccorso del grande ospedale torinese, il primario della riabilitazione del nosocomio di provincia, l’infermiera diventata una star dei no vax. Ormai è un segreto di Pulcinella quello che, in nome della privacy, dovrebbe custodire l’identità del personale sanitario non vaccinato e che di immunizzarsi non ne vuole sapere. 

Una presa di posizione che pur violando deliberatamente la norma sta diventando in non pochi casi addirittura motivo di vanto e di sfida. Un atteggiamento decisamente più facile in Piemonte dove, incredibile ma purtroppo vero, non è ancora stato preso alcun provvedimento nei confronti dei medici, stimati in non meno di 300, infermieri e operatori sanitari in quantità maggiore che rifiutano di vaccinarsi. Comodo fare i no vax, i sanitari fuorilegge (termine ineccepibile visto l’obbligo introdotto, appunto con legge) quando le sospensioni dal lavoro e dallo stipendio riguardano solo le altre regioni. 

Ce n’è abbastanza per battere i pugni sul tavolo, come ha fatto ieri al Dirmei il commissario alla campagna vaccinale Antonio Rinaudo. Chissà se almeno un timido sobbalzo lo avranno fatto i direttori generali delle Asl, nei loro uffici o sotto l’ombrellone, che ancora non hanno inviato gli elenchi del personale sanitario no vax residente sul loro territorio agli Ordini dei medici e ai datori di lavoro (soprattutto ospedali e quindi Asl o Aso) cui spetta decidere la sospensione dal servizio e dallo stipendio nel caso il non vaccinato non possa essere impiegato in funzioni non a diretto contatto con il pubblico.

“Ormai i nodi devono arrivare al pettine”, dice l’ex magistrato. Chi, tra i sanitari ha ribadito la sua irremovibile intenzione di non vaccinarsi, continua a rimanere al suo posto. Con il paradosso che se quel medico o infermiere si presenta al ristorante senza il green pass non può sedersi all’interno, ma quella stessa persona può continuare a visitare, curare, accudire persone malate e, quindi, ancor più fragili rispetto a un potenziale commensale. Ma alla rapidità dell’introduzione e dell’applicazione del certificato verde, con sanzioni per chi non lo aveva nei luoghi in cui era richiesto, fa da contraltare quello che ormai non può non essere il caso Piemonte, ovvero la regione in cui la tutela dei malati o comunque delle persone che hanno necessità di ricorrere al personale della sanità continua a presentare un vulnus tanto grave, quanto ormai intollerabile.

Da notare come, finora, tutti i ricorsi presentati dai sanitari contrari al vaccino hanno visto i Tar esprimersi concordemente a favore della norma, respingendo le istanze. Dal Friuli all’Umbria, passando per la Lombardia, i no vax in camice bianco hanno rimediato solo sconfitte.

Meglio, dunque, confidare nella incredibile lentezza delle procedure come riesce difficile escludere stia capitando in Piemonte, dove – altro paradosso – sta avendo più effetto l’obbligo del green pass (con l’alternativa del tampone) per indurre alla vaccinazione il personale scolastico restio all’iniezione, rispetto al rischio di perdere lo stipendio per il personale sanitario. La spiegazione, anche in questo caso, è banale: a tanti annunci non è corrisposto alcun atto concreto. Che i vertici delle Asl non siano dei cuor di leone si sa, che ognuno aspetti che a fare il primo passo sia l’altro è un legittimo sospetto, che il meccanismo si sia inceppato sarebbe un fallimento di cui chiedere subito conto, senza le solite giustificazioni di comodo o lo scaricabarile sempre pronto.

Di mezzo, anzi in cima a tutto, c’è la salute dei cittadini, peraltro ignari dell’avvenuta vaccinazione o meno del medico o dell’infermiere con cui hanno a che fare. E se, come una certa vulgata sanitaria tende a propalare, i no vax sono pochi allora è ancor più difficile da comprendere la difficoltà nel procedere nell’applicazione della legge. “Non si possono tollerare altri ritardi”, ha ribadito Rinaudo, “C’è una legge e va applicata”. Più chiaro di così.

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