EMERGENZA SANITARIA

Specialisti e medici di famiglia per aiutare i Pronto Soccorso

Percorsi più rapidi in base alle patologie. L'obiettivo è "alleggerire" il lavoro degli urgentisti. Le linee del piano affdato da Icardi a Manno. Il direttore del Dirmei: "Stop ai Covid Hospital per non fermare interventi chirurgici e ambulatori"

L’ospedale Covid, quello che sospende tutti gli altri servizi, blocca gli interventi chirurgici e chiude il Pronto Soccorso per dedicarsi esclusivamente a chi è colpito dal virus è un’esperienza da lasciare alle spalle, un modello da non riproporre se non nel malaugurato caso in cui una possibile quarta ondata assuma dimensioni e gravità che gli effetti della campagna vaccinale portano oggi a ritenere estremamente improbabili.

A cambiare saranno anche i Pronto Soccorso e i Dea, nodi nevralgici e nervi scoperti del sistema sanitario piemontese per una carenza di personale che il rifiuto a vaccinarsi da parte di una percentuale di medici e infermieri non può che accentuare, tanto che è dell’altro giorno l’affidamento da parte dell’assessore Luigi Icardi al direttore del DirmeiEmilpaolo Manno dell’incarico di formulare una proposta per la riorganizzazione dei Pronto Soccorso e dei Dea su tutto il territorio regionale. 

Specialista in Anestesia e Rianimazione e Chirurgia d’urgenza, docente universitario, una quarantina d’anni in quella prima linea che sono i Pronto Soccorso, direttore di Dea dal 1999 fino a pochissimo tempo fa, Manno le linee e i punti cruciali su cui basare lo schema di riorganizzazione chiestogli dall’assessore li ha ben chiari.

Quel che chi conosce soltanto da utente la front line degli ospedali immaginerebbe come la soluzione più semplice, ovvero spostare da un ospedale all’altro, dall’Asl all’altra il personale che serve per tamponare i vuoti, lo specialista la mette come estrema ratio. “Il lavoro del Pronto Soccorso è molto usurante, quindi imporre anche trasferimenti anche per periodi limitati si può fare in momenti di particolare necessità, ma bisogna essere molto cauti nell’accentuare ulteriori pesi su un’attività come appena detto già di per sé molto impegnativa”. Da qui quello che non è un ripiego, ma una soluzione (anche se parziale) che ha in sé un aspetto strutturale molto importante anche guardando a quando si sarà usciti dall’emergenza Covid, ma il problema del personale che già esisteva prima continuerà ad esserci.

“Ottimizzare i percorsi e l’utilizzo delle risorse, coinvolgendo tutte quelle presenti in ospedale” spiega il direttore del Dirmei che usa esempi concreti per non lasciare che parole spesso usate restino vaghi propositi. “Se arriva un paziente con un problema oculistico questo va indirizzato subito all’ambulatorio specialistico e non in seconda battuta dopo essere passato dal medico del Pronto Soccorso, lo stesso vale per una donna con problemi che richiedano un approccio ginecologico, anche per i traumi non gravi è meglio sia per il paziente sia per il sistema che la persona sia visitata, subito dopo il triage, dall’ortopedico in reparto o laddove e possibile averlo un ambulatorio connesso al Pronto Soccorso”. Utilizzare gli specialisti subito e non successivamente al passaggio dal medico urgentista, in tutti quei casi il suo intervento non sia necessario viste le condizioni del paziente. Un cambio di sistema che vien da chiedersi non sia stato applicato fino ad ora, eccetto le esperienze con esito decisamente positivo come ricorda Manno al San Giovanni Bosco e al Maria Vittoria

Premesso che per comporre il quadro fatto di più soluzioni, come spiega Manno “è necessario facilitare le assunzioni. Nelle varie fasi dell’emergenza Covid abbiamo visto che le nuove leve dei sanitari sono state molto disponibili, motivate e con molte energie, quindi risorse molto preziose”. Tra le risorse che saranno necessarie nel caso, a quanto punto più che probabile, il piano cui Manno sta lavorando in costante contatto con Icardi e con i dirigenti dell’assessorato venga tradotto in pratica, ci sono anche i medici di famiglia. “Il loro ruolo in Pronto Soccorso, a turno, sarebbe molto importante per occuparsi di una quota di pazienti stimata in non meno del 10% del totale degli accessi”. Si tratta di quei codici bianchi o pazienti con problematiche che possono essere affrontati e risolti senza l’intervento dell’urgentista o degli specialisti. Per loro come per gli specialisti non si pensa a disposizioni obbligatorie, ma “a un lavoro di convincimento e partecipazione alla realizzazione del piano”. Un piano che se la cui messa in atto è urgente, visto il possibile aggravarsi della carenza di personale in seguito alla sospensione dei no vax, non si esaurirà con la fine dell’emergenza Covid, quando avverrà. “In Piemonte nei Dea e nei Pronto Soccorso mancano oggi circa 200 medici e per recuperare in maniera strutturale questa carenza ci vorranno non meno di tre anni”, spiega Manno.

Il direttore del Dirmei vede nel lavoro, su base volontaria e in seguito a bandi, dei medici di medicina generale nell’ambito dei Pronto Soccorso come “una strada per quella che dovrà essere la medicina territoriale del futuro, sempre più sinergica con la rete ospedaliera”. E sempre in tema di ospedali la preparazione precauzionale a un eventuale aumento dei ricoveri di persone colpite dal Covid, “nell’aggiornamento continuo del piano pandemico”, come ricorda l’assessore, si prospettano una serie di cambiamenti. “L’obiettivo, speriamo raggiungibile, è quello di non intaccare minimamente le attività chirurgiche di elezione e di ambulatorio. Stiamo facendo grandi sforzi per le liste d’attesa e recuperare le prestazioni, se di dovessero di nuovo chiudere le sale operatorie tutto risulterebbe vano. Vorremmo evitare – spiega il direttore del Dirmei – di dover trasformare ospedali in ospedali Covid, cosa che comporterebbe come purtroppo sappiamo bene, chiudere i Pronto Soccorsi e molti altri servizi”. 

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