VERSO IL VOTO

Damilano (non) può fare il sindaco

Dopo i radicali anche la sinistra solleva la presunta ineleggibilità del candidato di centrodestra. Grimaldi cita un precedente che potrebbe essere insidioso: non basta la decadenza da un incarico, servono pure le dimissioni. Ma nessuno sembra voler cavalcare la vicenda

C’è anche una sentenza della Cassazione che potrebbe mettere nei pasticci Paolo Damilano all’indomani di una sua eventuale elezione a sindaco di Torino. I radicali hanno già annunciato il ricorso in caso di vittoria dell’imprenditore e questo pomeriggio è tornato sull’argomento il capogruppo di Luv (Liberi uguali verdi) in Consiglio regionale Marco Grimaldi. Tutto ruota attorno all’incarico di Damilano al vertice di Film Commission: il suo mandato è scaduto ma non essendo ancora stato nominato il successore è da considerarsi formalmente ancora in carica? Una cosa appare certa, lui non si è mai dimesso e secondo alcune interpretazioni non certo disinteressate, non potendo un ente rimanere acefalo lui ne è ancora formalmente presidente. Se questa interpretazione fosse confermata, il candidato a sindaco del centrodestra sarebbe ineleggibile e quindi andrebbe incontro a decadenza (certo non subito, con i tempi della magistratura). Una battaglia, a onor del vero, finora lasciata molto ai margini della competizione elettorale: nessuno degli sfidanti sembra intenzionato a utilizzare la questione come arma di polemica. Almeno per il momento.

I primi a sollevare il caso in punta di diritto sono stati i radicali. Secondo l’articolo 60, comma 1 punto 11, del decreto legislativo 267 del 2000 non è eleggibile alla carica di sindaco colui che ricopre una carica all’interno di un “istituto, consorzio o azienda” dipendente dall’ente per cui ci si candida. E Film Commission è partecipata da Palazzo Civico che ne designa un consigliere d’amministrazione. Damilano ne è ancora il presidente? La questione formale mai come in questo caso diventa sostanziale e nell’aula di via Alfieri Grimaldi cita una vecchia sentenza della Cassazione per dimostrare che sì, il candidato del centrodestra è ancora al vertice dell’ente. Il pronunciamento in questione è il numero 26123 del 2013 in cui si tratta un caso molto simile a quello di Damilano: “La decadenza dalla carica alla fine del termine di prorogatio non opera automaticamente ma dev’essere comunque accertata con atto dell’ente”. Per questo, secondo Grimaldi“il signor Damilano avrebbe comunque dovuto dimettersi dalla carica o attivarsi per far dichiarare la sua decadenza” poiché, prosegue il capogruppo di Luv, citando un altro stralcio della sentenza, “la decadenza non può operare in modo automatico, senza che intervenga un provvedimento accertativo della cessazione dell’incarico”.

Al question time di Grimaldi risponde l’assessore (all’Agricoltura!) Marco Protopapa che si limita a leggere un testo scritto nel quale di fatto ribadisce la posizione di Film Commission secondo cui Damilano sarebbe automaticamente decaduto alla data del 16 agosto, al termine cioè dei 45 giorni di prorogatio previsti dalla legge regionale dopo la fine del mandato. Dopo quella data (16 agosto) – sottolinea Protopapa leggendo la nota – nessun contratto o accordo è stato firmato dall’ex presidente della Fondazione e non vi sono state neppure uscite pubbliche di Damilano in veste di presidente della fondazione. Eppure, fa notare Grimaldi “una breve ricerca in rete con semplici parole chiave restituisce un numero molto alto di notizie, datate successivamente al 16 agosto, in cui il nome e l’immagine di Damilano compaiono in articoli e post su facebook dove egli viene indicato quale presidente di Film Commission e, in forza di questo, avrebbe siglato accordi e firmato protocolli d’intesa con alcune amministrazioni”.

Insomma, la questione resta intricata e a questo punto appare certo che se il centrodestra riuscisse a conquistare Palazzo Civico, il successo politico si porterebbe dietro anche uno strascico giudiziario. In Piemonte c’è anche un precedente che fa tremare Damilano: quello dell’attuale assessore regionale Maurizio Marrone, eletto consigliere regionale nel 2014 con Fratelli d’Italia e poi decaduto nel 2017 dopo una lunga battaglia legale terminata in Cassazione. Marrone non aveva dato le dimissioni dall’Ires, ente di cui era consigliere d’amministrazione al momento della presentazione della sua candidatura e furono proprio i radicali a sollevare il caso, gli stessi che hanno acceso il faro anche sul “caso Damilano”.

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