SACRO & PROFANO

Toto-vescovo al giro di boa, nella rosa entra don Arice

Nella nota pattuglia di aspiranti alla successione di Nosiglia rumors curiali danno in ascesa il superiore della congregazione del Cottolengo. Una figura che rompe la contrapposizione progressisti-conservatori. Il Papa a quanto pare avrebbe già un'idea precisa

Novembre dovrebbe essere, a quanto si dice, il mese decisivo per l’accettazione da parte del Papa delle dimissioni dell’arcivescovo Cesare Nosiglia e per il sospirato e atteso annuncio del nome del suo successore. Rumors romani dicono che Francesco abbia da tempo un suo candidato per Torino, ma attenda di vedere la terna proposta dal nunzio per decidere. Non è poi un mistero che il pontefice abbia spesso dato la preferenza nella scelta dei vescovi, anche per le grandi città, a quelli che come lui, sono stati superiori religiosi. In Italia, il caso di Genova, dove è approdato padre Marco Tasca, già ministro generale dei francescani conventuali, rimane significativo. Sono in molti a pensare che possa essere così anche per la diocesi subalpina e allora si guarda ai generali o ai provinciali di nazionalità italiana dei vari ordini tutti, per la verità, in piena decadenza ma, in ogni caso, tutti pervicacemente progressisti.

Tuttavia, per individuare fra i religiosi un eccellente candidato alla successione di Nosiglia non occorre forse guardare troppo lontano. Basta volgere lo sguardo a poca distanza dal duomo e dalla Consolata – quest’ultima un tempo cuore pulsante del cattolicesimo subalpino – dove sorge la Piccola Casa della Divina Provvidenza, cittadella della carità, vanto e orgoglio di Torino solidale, fondata da san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Fra il clero torinese circola voce che il Superiore Generale della Società dei Sacerdoti del Cottolengo e Padre della Casa della Divina Provvidenza, don Carmine Arice, originario di Manfredonia, classe 1964, ordinato nel 1991, sia fra i candidati alla cattedra di S. Massimo potendo contare su di un curriculum di tutto rispetto nel campo della sanità e dell’assistenza. Don Arice, infatti, è stato dal 2012 al 2017 direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della Cei ed è attualmente membro della Pontificia Commissione per le attività del settore sanitario delle persone giuridiche della Chiesa, nonché autore di numerose pubblicazioni. La sua attività di superiore del Cottolengo è stata improntata a grande dinamismo e apertura verso l’esterno. Oltre a quelle tradizionali, varie sono state le iniziative che don Arice ha promosso, tra cui il recentissimo progetto, in via di realizzazione per il giubileo del 2025, di una grande casa del Cottolengo a Roma, una struttura dove saranno accolte tutte le disabilità mentali e sensoriali in condivisione con persone e famiglie normodotate che verranno in visita alla Sede di Pietro e che il ministro Massimo Garavaglia ha definito «semplicemente perfetta». Quella di don Carmine sembrerebbe una candidatura fuori dallo schema progressista/conservatore, che potrebbe unire e non ulteriormente separare – nel nome di un santo “sociale” torinese quale fu il Cottolengo – un clero altrimenti diviso e stanco.

Intanto, l’arcivescovo Nosiglia ha emesso e pubblicato un decreto in cui, dando attuazione al motu proprio Traditionis custodes, detta le norme per la celebrazione della Messa con il Messale del 1962. Essa potrà avere luogo soltanto nella chiesa della Misericordia di via Barbaroux e vi potranno celebrare soltanto don Francesco Venuto, rettore della chiesa e delegato per i fedeli legati all’antico rito, mons. Renzo Savarino e don Stefano Cheula. Nessuna altra celebrazione sarà ammessa. Con tale decreto, viene a cessare a Torino la libertà liturgica concessa da Benedetto XVI con il motu proprio Summorum Pontificum. I gruppi, tra cui uno in particolare, che con ammirevole zelo e coraggio ogni domenica, tra mille difficoltà e ostracismi, organizzava la celebrazione della Messa antica, dovranno sparire o entrare in clandestinità. Nella Chiesa della sinodalità, per questi fedeli, che spesso arrivavano dalla provincia e da altre diocesi, non vi è nessuna clemenza o tolleranza, nessun luogo di culto disponibile, nemmeno fra quelli che stanno andando in rovina e tra non molto saranno ridotti a usi profani, nemmeno un altare laterale di qualche ormai deserta grande chiesa di Torino e provincia.

Particolare significativo. Circola in rete una immagine, quella del portale della chiesa di San Francesco d’Assisi affidata alle cure del parroco del duomo don Carlo Franco. Su di esso sono esposti due cartellini affiancati: sul primo è comunicato l’orario dell’unica Messa, sull’altro l’indicazione del culto luterano festivo che nella stessa chiesa viene celebrato. In tempo di ecumenismo, l’offerta religiosa è à la carte. D’altro canto, nella vicina via S. Teresa, dove il buon padre Antonio Menegon pontifica ogni domenica sera alla borghesia radical chic evocandone i sensi di colpa, il ritratto di Martin Lutero già campeggia in una cappella laterale. Per la verità, qualche anno or sono, l’apertura verso tutti i marginali del religioso camilliano e il suo noto anticonformismo e insofferenza verso l’autorità, erano stati messi alla prova da un gruppo che gli aveva chiesto di poter celebrare la Messa antica. Colto alla sprovvista accettò, ma dopo poco, con una scusa, mise fine all’«esperimento». Anche lo spirito profetico di padre Antonio ha un limite invalicabile.

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