LOTTA AL COVID

"Con la terza dose venti volte più protetti dalla malattia"

Per l'infettivologo Di Perri si tratta di un vantaggio "sproporzionato", soprattutto per gli anziani. Quanto alle persone che ancora non si vogliono vaccinare allarga le braccia: "Sono l'80% dei ricoverati in rianimazione"

Il vantaggio della terza dose di vaccino negli anziani è enorme, addirittura “sproporzionato” secondo l’infettivologo Giovanni Di Perri, direttore della Scuola di specializzazione in Malattie infettive dell’Università di Torino, richiamando i dati raccolti in Israele. Occasione, la Healthy Ageing Week 2021 organizzata dalla Fondazione Ferrero ad Alba. “I dati degli israeliani – ha detto Di Perri ad Alba – ci dicono che in un gruppo di soggetti tutti al di sopra dei 60 anni e tutti vaccinati due volte se si va ad aggiungere la terza dose si ha un aumento della protezione dall'infezione di circa dieci volte, ma dalla malattia grave di circa venti volte”. “È un grande incremento di protezione – ha osservato – ne sono impressionato. Ciò che speriamo è che questo permetta di far durare più a lungo anche la protezione stessa. Questo potrebbe infatti essere il modo di traghettare, in primis le persone vulnerabili ma poi forse tutti quanti, nella fase di convivenza stabile con il virus che invariabilmente avremo. Perché questo virus – ha sottolineato – non se ne va: è forse il virus più trasmissibile che c’è”.

“Sono contento che si dia credito a questo rinforzo: l’esperienza di Israele mostra che le infezioni aumentano anche nelle fasce di età meno a rischio. E se in quelle fasce l’infezione non corrisponde all’ospedalizzazione, consente al virus di circolare di più. Non ci sono tante altre opzioni, ecco perché è importante fare la terza dose anche a partire dai 40 anni” ha proseguito Di Perri. “Ora abbiamo tutti gli hub vaccinali in funzione – ha concluso – se decidiamo di farlo adesso ha un costo, ma se fra un anno ci rendessimo conto che sarebbe stato meglio averlo fatto, il costo sarebbe un altro”. Fra le altre cose, Di Perri ha ricordato che “una immunizzazione fatta in giovane età, anche giovanissima, ha un rendimento e una tenuta nel tempo più lunga, perché vaccinarsi a 80 anni vuole dire incontrare per la prima volta un nuovo stimolo e l’effetto è minore”. Quanto al problema costituito dalle persone non vaccinate, Di Perri ha rimarcato che “è un rischio che c’è, si parla di 7 milioni di persone: i tre quarti delle nuove infezioni sono persone non vaccinate, e oltre l’80% di chi va in rianimazione è non vaccinato. Purtroppo bene o male questi dati ci danno una conferma non richiesta del fatto che il vaccino funziona”.

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