SACRO & PROFANO

Vescovo di Torino? "No grazie"

Il nunzio apostolico avrebbe ricevuto garbati ma decisi rifiuti da parte di alcuni candidati alla successione di Nosiglia. Lo riferisce monsignor Brambilla che a Novara coltiva il sogno della "rivincita" dopo la bocciatura alla guida della Conferenza episcopale piemontese

Pare che uno dei vescovi piemontesi più in fibrillazione per la nomina del nuovo arcivescovo di Torino sia colui che – secondo alcuni – sovrasta tutti per autorità e competenza teologica e che è anche il pastore di una diocesi importante come Novara il cui vasto territorio guarda da sempre – così come in campo civile – a Milano e trova nella metropoli lombarda il suo punto di riferimento. Non è un mistero per nessuno che monsignor Franco Giulio Brambilla veda nella successione a Cesare Nosiglia l’occasione per rinnovare profondamente la stanca prassi pastorale delle diocesi subalpine e soprattutto l’impianto formativo e la caratterizzazione degli studi teologici in Piemonte il cui stato letargico è sotto gli occhi di tutti. Impresa non facile, come lo fu alcuni mesi fa la battaglia ingaggiata dal sanguigno presule lombardo per sostituire lo stesso Nosiglia a capo dei vescovi piemontesi e che fu persa quando, messa ai voti a scrutinio segreto, non ottenne la maggioranza dei suffragi, vedendo schierati compatti per la riconferma i confratelli. Sembra che Brambilla vada dicendo che il nunzio apostolico, dopo aver preso contatto con qualche candidato, abbia già ricevuto dei rispettosi ma decisi rifiuti e questo, ove rispondesse al vero, non appare affatto improbabile. Secondo alcuni, nella situazione in cui versa oggi la diocesi di Torino, soltanto un soggetto votato al martirio – posto che nella Chiesa ancora esista – o un incosciente ambizioso privo di senno potrebbe aspirare ad assumerne la guida. Forse è anche per questo che il tempo passa e il tanto atteso annuncio tarda ad arrivare.

Recentemente, proprio monsignor Brambilla ha affermato che «la Messa non è nostra» con ciò, oltre ad una enunciazione dottrinalmente ineccepibile, prendendo posizione contro la creatività del fai da te, devastatrice della liturgia, per cui ormai ogni celebrazione assume spesso il carattere di un abuso permanente allontanando i fedeli.  Gli ha risposto il liturgista Andrea Grillo, nemico giurato del rito antico e “mandante” di Traditionis Custodes, secondo il quale l’affermazione del vescovo di Novara «rischia di suonare singolarmente coerente con le forme più intolleranti di tradizionalismo ecclesiale». A tal proposito, Enzo Bianchi, a margine della sua meditazione natalizia in San Secondo, parlando dei giovani e la fede, ha dichiarato che: «Io a Bose avevo provato a cambiare le preghiere. Avevo trasformato il linguaggio di molte di esse per renderle più attuali. E non è che questa scelta mi abbia portato fortuna…». L’ex priore non ha chiarito chi sia stato ad avversare tale decisione. Sicuramente non un vescovo o una qualche autorità poiché, come tutti sanno, a Bose egli esercitava un potere sovrano capace anche di mutare le preghiere della Chiesa, cosa che un qualsiasi superiore o abate di ordine religioso mai avrebbe pensato o osato fare. L’affermazione di Bianchi manifesta però anche un’idea comune a tutti gli uomini di Chiesa della sua intramontabile generazione e cioè che soltanto il «nuovo» da noi fabbricato, il semplice e l’attuale possano rendere accessibile la preghiera o la liturgia ai giovani. Tale pregiudizio li rende incapaci di intendere – se non rubricandola nella patologia – l’attrazione diffusa dei giovani della post modernità verso la liturgia tradizionale. Se poi anche la Messa non è soltanto il ritrovarsi della comunità che celebra perché non modificarla in permanenza?

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