DIRITTI & ROVESCI

Non si può morire di (in)giustizia

La tragica morte di Burzi ripropone l'annoso tema del rapporto tra politica e magistratura e mette in luce tutte le storture del sistema giudiziario. L'ex vice guardasigilli Costa: "Inaccettabili i tempi ed evidenti le disparità di sentenze a singhiozzo"

Arguto, intelligente, ascoltato, talvolta anche ruvido, ma sempre senza paura di esprimere una voce fuori dal coro. Una figura granitica. Questo ricordo che ho di lui stride molto con il suo gesto. Se è arrivato a questo sicuramente c’è stato un logoramento, una frustrazione insopportabile anche per una persona come lui”.

Il suicidio di Angelo Burzi, tra i fondatori di Forza Italia, a lungo assessore regionale e riferimento per il mondo liberale piemontese e non solo, ha suscitato profondo cordoglio e non meno stupore nel mondo politico. La sua recente condanna, dopo l’assoluzione in primo grado, per quella che venne ribattezzata come la Rimborsopoli regionale scaturita da un’inchiesta sull’utilizzo dei fondi dei gruppi consiliari che data ormai quasi dieci anni, pesa come un macigno sulla tragedia personale. Pesano, non di meno, quei tempi eccessivamente lunghi della giustizia, la gogna mediatica e pure le disparità con cui presunti od effettivi reati sono apparsi essere trattati nei processi, insinuando il dubbio di differenze rispetto agli schieramenti politici. Logoramento e frustrazione. Enrico Costa, liberale, deputato di Azione, già viceministro alla Giustizia e protagonista (quasi sempre in solitaria) di battaglie per una giustizia più efficiente e rispettosa dei diritti, non usa a caso queste parole parlando dell’amico Angelo con cui ho condiviso anni in consiglio regionale, durante i quali ne ho conosciuto bene i valori, la serietà, l’impegno, il coraggio delle sue idee”.

E anche quella graniticità che, però, può sgretolarsi di fronte a qualcosa di insopportabile. È terribile dover parlare in questi termini della giustizia, ma, onorevole Costa, si può non farlo dopo anni e anni di processi tra assoluzioni e condanne?
«Probabilmente ha subito delle picconate così pesanti che anche una persona forte come lui non ha retto».

Burzi era una figura molto conosciuta, oggi la politica la ricorda con stima, mostra sgomento per il suo gesto, forse prende coscienza tardivamente e solo per qualche giorno di un problema che non riguarda solo persone note.
«In questo caso si è arrivati a discutere in appello fatti di più di dieci anni fa. Pensiamo alle persone che sono sotto processo per tutto questo tempo, talvolta per periodi ancora più lunghi. È accettabile? No. Vale sia per il condannato, sia per l’assolto. Avere una giustizia che dà una risposta rapida è una necessità inderogabile, tanto più in un Paese come il nostro dove già un avviso di garanzia è uno sfregio difficile da cancellare”.

Essere condannati dopo tanto tempo, lei pensa che questo possa definirsi pienamente giustizia?
«La sentenza definitiva deve giungere in un termine ragionevole rispetto ai fatti. Anche se di condanna, perché deve intervenire sulla stessa persona alla quale è contestato il reato. Una condanna che arriva dopo tanti anni è più difficile da assorbire, e spesso inutile, perché tocca una persona diversa».

Sarà anche difficile farlo un processo passato tanto tempo?
«Mi ha colpito molto la pretesa e l’insistenza con cui si chiedeva ai testimoni di ricordare dettagli di dieci anni prima».

Prima assolto, poi condannato. E intanto gli anni scorrono. Una vicenda di cui ne ha parlato pochi giorni fa con noi l’allora governatore Roberto Cota, mettendo in evidenza anche le diverse sentenze per fatti analoghi che alimentano il dubbio di un diverso trattamento a seconda dell’appartenenza politica. Su questo lei cosa pensa?
«Sentenze a singhiozzo. Io sono per la non appellabilità delle sentenze di assoluzione. Come si può escludere il “ragionevole dubbio” se un Tribunale ha assolto? Sulla disparità nelle sentenze non posso esprimermi non avendo letto tutte le carte, ma una cosa la dobbiamo dire e non solo per questo caso: in Italia il processo è già una pena, indipendentemente da come poi si concluda. E più si prolunga, più la pena è dura».

Per l’uso dei fondi dei gruppi ci sono state inchieste e processi quasi in tutte le Regioni, ma con esiti e modalità diverse. Anche questa non è una stortura del sistema giudiziario?
«Vero, così come ci può essere stata un’interpretazione non omogenea della norma da parte dei consiglieri regionali, così evidentemente c’è stata una differente interpretazione da parte dei magistrati. Una giustizia a macchia di leopardo non è molto credibile».

Magistrati che non sbagliano mai?
«La stragrande maggioranza dei Magistrati è preparata e lavora silenziosamente con impegno. Ma addirittura il 99% ha una valutazione positiva dal Csm. Possibile? Questo evidenzia una totale assenza di valutazione dei meriti o dei demeriti. Le azioni disciplinari finiscono quasi tutte nel nulla. Ci sono oltre mille segnalazioni al Procuratore Generale presso la Cassazione e le archivia quasi tutte, senza rispondere a nessuno e senza far vedere gli atti. La responsabilità civile dei magistrati vede solo l’1,4% di condanne».

La politica in tutto questo ha gravi responsabilità. Teme la magistratura o ha convenienza a non sollevare problemi verso le toghe?
«No, non è paura. La politica agisce per convenienza, raramente per convinzione. Io ero ministro e ho votato contro la riforma del ministro della Giustizia Andrea Orlando sulla prescrizione».

Molti altri invece…
«Pensi che Forza Italia e la Lega hanno votato contro un mio ordine del giorno che prevedeva l’intervento del Garante in caso di notizie su un’assoluzione non date con lo stesso risalto riservato a quelle dell’indagine. Guardi lo spazio che hanno dato all’assoluzione dell’ex governatore della Basilicata Marcello Pittella: poche righe. Quando era stato arrestato gli stessi giornali avevano dedicato alla notizia almeno una pagina».