RETROSCENA

Allasia "salvo" ma non va a Roma. Rimpasto, braccio di ferro Lega-FdI

Il presidente del Consiglio mantiene la poltrona però non sarà uno dei tre grandi elettori per il Quirinale. Spunta il sindaco di Novara Canelli. L'opposizione sceglie Ravetti. Caucino potrebbe cedere a Marrone il Welfare pur di non perdere la delega sulla Casa

Il presidente del Consiglio regionale Stefano Allasia resterà sullo scranno più alto di Palazzo Lascaris, ma non siederà sui banchi di Montecitorio per eleggere il futuro Presidente della Repubblica. Questo è solo uno degli intrecci tra il rinnovo dell’ufficio di presidenza di via Alfieri e la scelta dei grandi elettori per il Quirinale. Intrecci in cui finiscono anche gli schemi di quello che più che un rimpasto di giunta si annuncia come una redistribuzione di deleghe, senza che una sola poltrona dell’esecutivo di Piazza Castello perda il suo titolare.

Quella più importante da cui si dirigono i lavori del parlamentino piemontese è stata parecchio traballante fino all’altro giorno per l’ex deputato leghista, la cui condotta ritenuta troppo autocratica (casus belli la nomina del nuovo presidente del Corecom) aveva suscitato tensioni e nervosismo nel gruppo consiliare e al vertice della Lega regionale, tanto da far prendere concretamente corpo l’ipotesi di una giubilazione di Allasia. Che, a quanto pare, non ci sarà. 

Rimessi assieme i cocci, garantita la prosecuzione nel suo ruolo, ad Allasia comunque un cartellino giallo arriverà, sia pure in codice: tradendo la prassi, ma non le norme, la Lega non indicherà lui come rappresentante regionale, ma con ogni probabilità investirà con i voti del Consiglio il sindaco di Novara Alessandro Canelli del ruolo di grande elettore. Una scelta, quella di Canelli, che risponde anche in maniera decisa all’appello del presidente dell’Anci  Antonio Decaro per un ruolo dei sindaci nell’elezione del Capo dello Stato. Appello raccolto, tra gli altri, dal governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini che si è detto pronto a cedere il suo posto a un primo cittadino. L’indicazione di Canelli, inoltre, eviterebbe l’ennesima bagarre interna al gruppo e toglierebbe le castagne dal fuoco a un capogruppo, Alberto Preioni, già sulla graticola per la vicenda degli staff.

Non partirà Allasia per Roma, ma lo farà certamente il governatore Alberto Cirio, al quale pare che Silvio Berlusconi abbia dato un informale incarico di collettore dei voti regionali azzurri. A completare il terzetto, come da sempre, un rappresentante delle minoranze. E qui arriva la sorpresa. Sergio Chiamparino, che già aveva partecipato da governatore all'elezione di Sergio Mattarella e che molti davano per probabile partente per Roma, non farà invece parte della illustre comitiva: al suo posto l’ex capogruppo  Domenico Ravetti sul cui nome la formazione dem avrebbe trovato l’accordo anche per una sorta di riconoscimento al cosiddetto Piemonte 2. Che, a ben vedere, con l’albese Cirio, il novarese Canelli e pure il piddino Ravetti più che riconoscimento rispetto a Torino farebbe l’en plein. Motivazioni formali e motivazioni reali, c’è anche questo dietro le scelte per la rappresentanza piemontese alle votazioni per il prossimo inquilino del Colle. 

Si diceva degli intrecci con l’elezione dell’ufficio di presidenza di via Alfieri che coincideranno, nella seduta di martedì 11 gennaio, proprio con quelle dei grandi elettori. Tra un augurio e l’altro, nei giorni scorsi i segretari dei tre partiti di maggioranza si sono parlati e il quadro con le varie caselle di Palazzo Lascaris sembra prendere forma. Detto di Allasia, che pur un po’ ammaccato resta al suo posto, è sempre più intransigente la posizione di Fratelli d’Italia nella richiesta della vicepresidenza, attualmente del forzista Francesco Graglia, per affidarla a Davide Nicco. Se, come pare, andrà a finire così, la Lega dovrà rinunciare a qualcosa a favore di Forza Italia e ad essere in forse è la prosecuzione nel ruolo di segretario di Gianluca Gavazza che farebbe posto a un berlusconiano, magari lo stesso Graglia. Chissà. Ormai certo il passaggio di testimone, per quanto riguarda il Pd, da Mauro Salizzoni a Daniele Valle, per l’altra poltrona di vicepresidente.

Non si voterà, ma è comunque in agenda quello che appare eccessivo se non improprio definire rimpasto, giacché nessuno si dovrà alzare dalla sedia, tantomeno ci saranno ormai archiviati rotolamenti di teste vagheggiati mesi addietro. Con un preambolo degno della Prima Repubblica in cui si abbonda di propositi e intenzioni per mascherare trattative, nei primi mesi dell’anno è previsto, bilancino alla mano, un rimescolamento di deleghe. La spiegazione di rito sarà quella di sgravare chi ha competenze gravose e ripartire, appunto, i pesi per procedere più agevolmente. In realtà, anche in questo caso il pressing del partito di Giorgia Meloni è forte. Ma non abbastanza per strappare alla Lega la delega alle politiche abitative che i Fratelli vorrebbero affidare a Maurizio Marrone. A Chiara Caucino non porteranno via la Casa, ma cederà a Marrone il Welfare. Alcune deleghe minori, ma non certo i Trasporti, oggi in capo all’azzurro Marco Gabusi finirebbero alla Lega, con il placet di Cirio di cui l’ex presidente della Provincia di Asti è l’uomo in giunta più vicino. Assai probabile il più volte annunciato passaggio, tra leghisti, dell’Agricoltura da Marco Protopapa a Fabio Carosso che ricambierebbe con l’Urbanistica e la programmazione territoriale. Uno schema, ovviamente, non ancora definito ma che molto probabilmente sarà quello destinato a tradursi in pratica al ritorno di Cirio e dei suoi compagni dopo aver eletto il prossimo Presidente della Repubblica.

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