GRANA PADANA

Lega kamikaze con Salvini, Molinari mette la sordina

Da veri leninisti è bandita ogni autocritica pubblica. Ma dietro "l'ampia fiducia" al leader le divisioni si fanno sempre più marcate. In Piemonte il partito ribolle, tra le sirene di Fratelli d'Italia e le preoccupazioni per i prossimi appuntamenti al voto

“Assolutamente no”. Mascherina bianca e occhiali neri, Riccardo Molinari prima di varcare la soglia di via Bellerio risponde rapidissimo e tranchant alla domanda sulla messa in discussione o meno della leadership di Matteo Salvini. Sarebbe bastato un ritardo di qualche secondo o un sopracciglio inavvertitamente alzato per generare stupore.

Facile profezia quella del capogruppo. Il consiglio federale dell’ultimo partito leninista si conclude senza neppure l’accenno di quell’analisi del voto, sia pure quirinalizio, antico rituale ma non inutile passaggio dopo quanto avvenuto e, soprattutto, a fronte dei mal di pancia interni al partito e al cui interno vengono sopiti da dichiarazioni al Valium. “Il consiglio federale conferma piena fiducia al segretario”, la conclusione. Tutto come da copione. Lo stesso mandato al Capitano di lavorare “per creare, allargare e potenziare un'alleanza alternativa alla sinistra” è il trionfo dell’ovvio, ma anche una sorta di mission impossible visto che l’esito dell’esercizio nell’arte del king maker del segretario ha portato a una divisione, dalle conseguenze tutte da vedere, con l’”alleata” Giorgia Meloni e una rottura con l’area centrista palesata con l’alta tensione in Regione Liguria con il cui governatore Giovanni Toti.

Più la versione ufficiale, sintetizzata nelle dichiarazioni al termine dell’assise nella storica sede leghista, è edulcorata, più si manifesta l’esistenza di un problema, tutt’altro che piccolo. Le solite chat di parlamentari e quadri dirigenti piemontesi tolgono il filtro, modello calza inventato trent’anni fa da Silvio Berlusconi per ammorbidire i tratti, e rivelano un malessere e una preoccupazione diffusa. Ancora una volta al centro del mirino finisce proprio il capogruppo alla Camera, per molti troppo impegnato in quel ruolo e assai meno in quello di guida del partito regionale, con il rischio di rimanere scoperto alle spalle nel caso essere al fianco di Matteo non bastasse più. E il dito viene puntato a quel cerchio magico  – “di bassa qualità politica ma prono ai suoi voleri”  – che circonda Molinari: Andrea Giaccone, Flavio Gastadi, Marzio Liuni, Alessandro Giglio Vigna. “Di questo passo precipiteremo in fretta al 6%”, vaticina un esponente di lungo corso del Carroccio.

E se l’idea del partito repubblicano sul modello americano per alcuni dirigenti “fa ridere”, fa invece mettere le mani nei capelli il pensare a cosa potrà succedere alle prime prove del voto. In Piemonte si voterà per alcune città importanti, da Cuneo ad Alessandria, quest’ultima feudo di Molinari e riconquistata dalla Lega cinque anni fa. Quanto si riuscirà a resistere all’avanzata dei Fratelli d’Italia che stanno già facendo da tempo man bassa nella campagna acquisti di amministratori locali? La domanda scivola in fretta verso l’incubo. L’esigenza di avere un partito forte, strutturato, con un dirigenza meno chiusa in se stessa è il mantra che si raccoglie nelle stesse ore in cui in via Bellerio, di fatto, si chiude la questione, buttando la palla sull’elefantino americano, al quale peraltro la Meloni ha già chiuso sul muso la porta: "L'Italia affonda ma i partiti che sostengono questo Governo sono impegnati a dar vita ad alleanze e federazioni del tutto innaturali pur di sopravvivere”.

L’auspicabile uscita dalla lunga fase emergenziale, come spiega più di un esponente leghista, deve vedere il partito di maggioranza più incisivo nel dare le linea anche allo stesso governatore Alberto Cirio, “anche a costo di cambiamenti”, spiegano riferendosi alla ritrosia in questo sempre manifestata da Molinari. Il prevedibile e in parte già manifesto intendimento di Fratelli d’Italia di pesare di più e il rischio di vedere quel peso alle prossime consultazioni elettorali amministrative, pone all’azionista di maggioranza della coalizione che governa la Regione di un cambio di passo. 

Nessuno sa quando e se ci sarà l’annunciato e poi rinviato congresso nazionale, ma i temi (o meglio, i problemi) messi sotto il tappeto in via Bellerio non è affatto detto non escano proprio laddove la conduzione del partito (e l’assenza di un presidente di Regione espressione della Lega) viene reclamata di maggior forza e decisione.