GRANA PADANA

Psicodramma in Lega, Molinari desaparecido

Dopo la Caporetto quirinalizia di Salvini scoramento e rabbia attraversano anche il partito piemontese. "Non lamentiamoci più dei nostri Preioni", attacca un parlamentare. Nell'occhio del ciclone il segretario regionale e capogruppo: "Ha evitato ogni confronto"

“Sette anni fa ero qui per l’elezione di Mattarella e adesso sono di nuovo qui a votare Mattarella, non ho capito cosa sia successo nel frattempo”. Uno sconsolato Stefano Allasia, nel frattempo da deputato di lungo corso della Lega è diventato il presidente del consiglio regionale e come tale vagola da grande elettore in Transatlantico con il rovello. Ma, forse, più che chiedersi cosa è successo, lui come gli altri suoi compagni di partito si chiede cosa succederà. L’implosione del centrodestra, nel Romanzo Quirinale dal finale copia-incolla diventa psicodramma nel partito di Matteo Salvini aspirante king maker finito, dopo l’ennesimo inciampo, col timbro della “cultura istituzionale di un gormito”, come da velenosa definizione di Matteo Renzi.

Lui, il Capitano, dice di aver “peccato di sincerità e generosità”, non propriamente le doti di un grande manovratore, ruolo che adesso molti dei suoi non gli perdonano di aver svolto nella maniera più improvvisata e sconclusionata possibile, ma senza manlevare responsabilità pure del suo stato maggiore. E qui, la pattuglia di grandi elettori leghisti calata dal Piemonte con baldanza ripiega in una Caporetto dove certo non riconosce ardimentose gesta al suo comandante, nel caso di specie anche (e vi par poco) capogruppo alla Camera. “Mai una riunione, lunedì addirittura siamo andati a votare solo con un sms”. Nelle chat spesso non viene neppure citato, intanto è implicito si parli di lui, Riccardo Molinari, per anni uomo ombra di Matteo in Piemonte e non solo, adesso nell’8 settembre di coloro che furono lumbard, ombra quasi invisibile durante la settimana di tregenda conclusasi ieri sera con il ritorno al passato che tormenta il povero Allasia.

Al loro presidente non pochi deputati piemontesi, ma con loro anche qualche senatore, imputano una “latitanza” sottolineata pure da qualche parlamentare del centro-sud addirittura invidioso dell’attenzione che avrebbe riservato più ai piemontesi e ai lombardi, aggiungendo velenoso, per via della fidanzata (la deputata Rebecca Frassini), a conferma che quando la pelle brucia scappa pure un colpo sotto la cintura. Brucia nel corpaccione parlamentare leghista quella corsa senza freni contro il muro di Matteo che, forse chissà, s’interrogano, Riccardo avrebbe potuto rallentare. “Ma va, sempre muto”, viaggia in chat l’indiretta risposta.

“In casa Lega non ci sarà mezza fibrillazione” assicura da Porta a Porta Salvini, ma tra i suoi si chiedono se ci crede, almeno lui. Rientrata la voce di possibili dimissioni di Giancarlo Giorgetti, resta il segnale lanciato dal ministro a Mario Draghi, ma da molti interpretato come l’ennesima segnatura della differenza tra lui e il segretario, non ultima proprio quella sul premier al Colle, ipotesi che sarebbe stata assai gradita all’eminenza grigia della Lega, decisamente meno al Capo. 

C’è chi tra i parlamentari della regione che esprime il capogruppo (ben guardatosi dall’esprimersi troppo in questi giorni) la butta giù pesante parlando, sia pure sottovoce, di “resa dei conti” lasciando da capire se in generale o restringendo il campo ai confini di pertinenza. “Comunque dopo questa brillante prova di Matteo nessuno potrà più lamentarsi delle gesta dei nostri vari Preioni”, commenta al vetriolo un parlamentare riferendosi al capogruppo leghista a Palazzo Lascaris, Alberto Preioni, non propriamente un fulmine di guerra nelle trattative politiche.

“Anche il centrodestra al suo interno ha perso pezzi”, ammette Salvini, ma subito precisa: “Non la Lega”. E però ci sono quei 37 voti più del previsto presi dall’ex magistrato Carlo Nordio, candidato di Fratelli d’Italia che nessuno può escludere, almeno in parte, arrivino proprio da forti mal di pancia leghisti e partano come segnali verso Giorgia Meloni che potrebbe continuare a drenare non solo voti, ma anche parlamentari dall’alleato, si fa per dire. C’è chi parla di “feroci pizzini” indirizzati proprio a Salvini. Altro motivo di allarme, anche in un Piemonte dove i rapporti tra Lega e Fdi non sono certo idilliaci, come testimoniato dalle tensioni non rare nel governo della Regione e come altre situazioni da oggi in avanti potrebbero ulteriormente confermare. 

“Non possiamo fare regali al Pd” diceva Molinari una settimana fa. Venerdì sera mentre Salvini (e con lui Giuseppe Conte) annunciava coram populo di lavorare per un presidente donna, “in gamba”, il capogruppo spiegava che “quello di Elisabetta Belloni è un nome che sta uscendo dai vari incontri e di cui si parla ma non c’è ancora nessun accordo chiuso”. Nel frattempo onorevoli e senatori cercavano di capire, addormentandosi con l’idea di votare il capo dei Servizi e risvegliandosi con la foto di Mattarella sul comodino. 

Salvini era partito col mandato di arrivare a un presidente d’area ed è finito per sposare il bis di Mattarella. L’impressione è che alla fine sia andata come pronosticato ventiquattr’ore prima da Umberto Bossi, “Salvini andrà a ruota di Berlusconi”, prevedendo un Mattarella bis. Magra consolazione l’avverarsi della profezia del Senatur per chi ancora deve ingoiare “la balla della sala capiente che non si trovava”, a giustificazione di quegli incontri non fatti dal capogruppo mentre tutto veniva giù. E Allasia che si chiedeva cos’era successo in questi sette anni. Cosa succederà da domani.

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