SACRO & PROFANO

Rinunce, depistaggi e fake news.
Una via crucis scegliere il vescovo

In diocesi (e soprattutto in curia) cresce il nervosismo per un annuncio sempre imminente e più volte procrastinato. Il "falso" messaggio di benvenuto a dom Ogliari della parrocchia della Crocetta, fortino del progressismo custodito dall'ex ausiliare Fiandino

Uno dei luoghi ove si manifesta più intenso il nervosismo dell’attesa per conoscere finalmente il nome del nuovo vescovo di Torino è sicuramente la parrocchia della Crocetta, diventata il tempio del progressismo cattolico benestante, di quella borghesia radical-religiosa un po’ acciaccata e consunta ma sempre ansiosa di protagonismo intellettuale. Su di essa regna incontrastata la figura, unica nel suo genere, almeno in Italia, del vescovo parroco, poi viceparroco e adesso co-parroco di monsignor Guido Fiandino, classe 1941, già  ausiliare, nonché leader riconosciuto di quella generazione di preti ultrasettantenni tutt’ora sulla breccia che ancora vivono dell’ideologia conciliare e dei segni dei tempi degli Anni Sessanta del Novecento. La folta pattuglia degli immarcescibili vegliardi sempre intenti alla riforma della Chiesa.

Vera eminenza grigia (qualche prete, in verità, lo definisce l’«anima nera» della diocesi), monsignor Fiandino – noto per la suavis clericorum malitia – è un po’ la vestale e il guardiano dell’intangibile status quo per cui quella di Torino rappresenta la migliore delle chiese possibili, l’insuperato e ineguagliato modello ecclesiale postconciliare.  Per questo il ventilato arrivo di un personaggio come l’abate di Montecassino, dom Donato Ogliari, ha destato non poco subbuglio. Nei giorni scorsi è persino circolata una nota di benvenuto al nuovo vescovo – poi rivelatasi un falso – sul sito della parrocchia.

Tra i tanti nomi che ancora circolano, oltre ai soliti, proprio dalla Crocetta è stato fatto filtrare quello di uno dei due vicari generali di Bologna. Si tratterebbe di monsignor Stefano Ottani, classe 1951, ordinato nel 1977, canonista, vicario giudiziale e parroco e che nel 2016 è stato nominato dal cardinale Matteo Zuppi vicario generale per la Sinodalità. Il secondo, monsignor Giovanni Silvagni, classe 1961, ordinato nel 1986, anch’egli canonista, fu nominato nel 2011 vicario generale dal defunto cardinale Carlo Caffarra e per questo, pur essendo di dieci anni più giovane del collega, appare ben difficile possa essere il prescelto. È noto come papa Francesco promuova spesso i vicari generali all’episcopato, ma è anche noto come la domanda che si dice rivolga ai suoi collaboratori, esaminando i profili dei candidati sia, alla fine, sempre la solita: « È avanzato?». Se questo è il criterio, nessuno più di lui dimentica che Caffarra fu uno dei quattro cardinali firmatari dei Dubia che mai furono ricevuti per esporre le loro ragioni e ai quali mai fu risposto.

Sui media trentini è comparso il nome di padre Francesco Patton come futuro arcivescovo di Torino. Classe 1963, frate francescano minore è da sei anni Custode di Terra Santa succedendo a padre Pierbattista Pizzaballa nominato patriarca latino di Gerusalemme.  Nato a Vigo di Meano ha emesso i primi voti nel 1983, quelli solenni nel 1986 ed è stato ordinato sacerdote nel 1989. Molto conosciuto nella sua terra d’origine, ha compiuto studi di filosofia e teologia e presso l’Università Salesiana.

L’ex arcivescovo di Napoli cardinale Crescenzio Sepe rassegnò le dimissioni al compimento del 75° anno d’età il 2 giugno 2018, gli furono poi accordati dal papa ancora due anni di proroga ma soltanto il 12 dicembre 2020 fu comunicato il nome del successore nella persona del vescovo di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti monsignor Domenico Battaglia, “prete di strada” e grande amico di don Luigi Ciotti. Il suo nome era circolato fin dall’inizio insieme a una girandola di altri vescovi, alcuni dei quali di un certo rilievo, come monsignor Bruno Forte, vescovo di Chieti e teologo di fama, bergogliano della prima ora ma poi repentinamente e irrimediabilmente caduto in disgrazia presso il bunker di Santa Marta. Varie sono le analogie con Torino, sia per i tempi sia per il nome che fin da subito – come era avvenuto per don Mimmo Battaglia – è stato quello di monsignor Derio Olivero. Ora, voci curiali dicono che papa Francesco abbia interpellato direttamente il vescovo di Pinerolo ma che questi abbia opposto un accorato e sofferto diniego motivato da ragioni personali e di salute.

Sembra proprio che tra le insegne vescovili, quella più idonea a rivestire il capo dell’arcivescovo di Torino sia diventata non la mitria gloriosa ma la corona di spine e che a volerla cingere – ad imitazione di Nostro Signore – non siano infine poi molti. Almeno tra quelli che, secondo il papa, avrebbero il profilo giusto per venire a reggere una diocesi tanto complessa e male in arnese.

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