REGOLE DEL GIOCO

Lo strappo in maggioranza blocca la legge elettorale 

La frattura tra Fratelli d'Italia e Lega ferma i lavori in commissione. Gallo (Pd): "Aspettiamo si chiariscano". Intanto si fa strada il mantenimento del listino: piace a molti (anche se non lo ammettono), compresi i parlamentari senza chance di riconferma

C’era un’inconsapevole e lontana preconizzazione nelle parole che il presidente del Consiglio regionale Stefano Allasia aveva pronunciato giusto un anno fa sull’attesa nuova legge elettorale per il Piemonte: “Pronti ad andare avanti senza strappi e senza indugi”. Un anno dopo, lo strappo c’è stato, anche se non quello inteso dal leghista riconfermato pochi giorni fa sullo scranno più alto dell’assemblea di via Alfieri.

La frattura (ancora non si sa quanto sanata o sanabile) tra Fratelli d’Italia e il resto della maggioranza, Lega in primis, sull’assegnazione dei posti nell’ufficio di presidenza di Palazzo Lascaris ha ripercussione anche sull’iter per dare al Piemonte un nuovo sistema di voto. “In commissione si è fermato tutto, in attesa di capire cosa succede nella maggioranza”, conferma il capogruppo del Pd Raffaele Gallo. E cosa succede nel centrodestra (dis)unito non è di secondaria importanza.

È noto come FdI sia a favore dell’abolizione del listino, così come la Lega (anche se la posizione del partito guidato in Piemonte da Riccardo Molinari non è così granitica), mentre Forza Italia la lista dei garantiti la vuole eccome, tant’è che in una recente riunione con i parlamentari il vicecoordinatore regionale Roberto Rosso ha ribadito con forza la posizione. Se poi si considera che le forze politiche minori, motivate dall’istinto di sopravvivenza, osteggino la cancellazione degli eletti automaticamente in caso di vittoria del candiato presidente, si comprende come la Lega ai ferri corti con i meloniani potrebbe rafforzare l’asse moderato con i berluscones non opponendosi al mantenimento del listino. Che poi, sotto sotto, consentirebbe al Pd di superare i problemi con i suoi cespugli. 

Segnali e scenari che suffragano l’ipotesi che sta facendosi largo, anche senza pronunciamenti ufficiali, ovvero lasciare nella futura legge elettorale il famigerato (ma, come si vede, non poi così tanto) listino. A suo sostegno, in maniera trasversale, ci sono anche i parlamentari che con la prospettiva per molti di un mancato ritorno a Montecitorio e Palazzo Madama, causa taglio dei posti, guardano a Palazzo Lascaris come a un comodo (e remunerato) buen ritiro.

“È necessario che l'attività legislativa sia celere e abbia tempi certi. Quelli attuali, dai quattro ai sette mesi, sono inaccettabili”, ha osservato pochi giorni fa Allasia, liquidando come “piccola crisi della maggioranza” quel che è accaduto tra FdI e Lega dalle conseguenze ancora tutte da scoprire. Ma proprio sulla legge elettorale il centrodestra rischia di ripetere quanto avvenuto la scorsa legislatura con il centrosinistra in maggioranza e un presidente, Sergio Chiamparino, che aveva annunciato come primo punto del suo mandato proprio il futuro sistema elettorale. Com’è andata si sa. Come potrebbe finire nel caso anche stavolta non si cavasse un ragno dal buco pure: interverrebbe il Governo imponendo l’inderogabile doppia preferenza di genere, con un’azione di supplenza che avrebbe l’effetto di un commissariamento istituzionale.

Un’eventualità che maggioranza e opposizione affermano di voler evitare ad ogni costo, ma sarà il calendario a confermare o meno la traduzione in pratica dei pronunciamenti. Tre le proposte di legge pronte per essere esaminate e discusse in commissione, una delle Lega, una dei Comuni Uncem e una di Marco Grimaldi di Luv. Il Pd aveva ritirato la sua pronto a convergere, sia pure con una discussione aperta sulla soglia di sbarramento, su quella della Lega.

Lo strappo in maggioranza, però, ha bloccato tutto. Forse una fermata strategica, per preparare il terreno al mantenimento del listino che, come accade per il proporzionale a livello nazionale, piace a tanti anche se non lo si può ammettere.

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