LA SACRA RUOTA

Di non soli incentivi vive l’auto

Le associazioni del settore chiedono contributi per tre anni ma poi "bisogna progressivamente ridurre la dipendenza del mercato dai sostegni pubblici". Settantamila posti a rischio nella transizione

È necessario prevedere un piano triennale di incentivi per l’auto elettrica e per tutta la filiera, ma bisogna progressivamente ridurre la dipendenza del mercato dalle misure di sostegno. Lo hanno sottolineato Anfia, Motus-E, Ancma e Anie, in un webinar organizzato per presentare uno studio sulla mobilità elettrica e la transizione della filiera verso veicoli sempre più sostenibili, realizzato dalle quattro associazioni con l’Università di Ferrara.

Questa mattina il viceministro dello Sviluppo economico Gilberto Pichetto ha annunciato l’istituzione di un super fondo da un miliardo all’anno per tre anni, necessario proprio per sostenere il mercato interno dell’auto, da una parte, e la conversione degli impianti nell’ambito della transizione ecologica, dall'altra. Impegno confermato anche dal titolare del Mise Giancarlo Giorgetti. Ma attenzione al rischio di drogare il mercato.

“Bisogna dare un segnale che gli incentivi diminuiranno” ha detto Francesco Naso, segretario generale Motus-E. “Dobbiamo spingere per una filiera della mobilità elettrica, ma anche occuparci dei 70.000 lavoratori che potrebbero perdere il posto. È importante l’accompagnamento dei consumatori all’acquisto di queste vetture, ma bisogna progressivamente ridurre la dipendenza del mercato dagli incentivi” spiega Fabrizia Vigo, responsabile Relazioni istituzionali Anfia. Per Omar Imberti, coordinatore del Gruppo E-Mobility Anie “bisogna dire con chiarezza per quanti anni si intende utilizzare gli incentivi”. Concorda Michele Moretti dell’Ancma: “Gli aiuti dovranno cessare appena possibile”. Il non detto è che gli incentivi rischiano di premiare non solo Stellantis, ma soprattutto i suoi concorrenti.

Per quanto riguarda le auto da incentivare, l’idea sarebbe di mettere tre quarti dei fondi sulle auto a basse emissioni (0-60 g/km di CO2) e un quarto su quelle con emissioni comprese tra 61 e 135 g/km. Difficile dire esattamente quanto gli incentivi andrebbero a sostenere gli stabilimenti sul territorio nazionale. Di certo sappiamo che le auto con emissioni comprese tra 0 e 20 g/km di CO2 sono quelle soltanto elettriche come le Tesla, la Dacia Duster elettrica, la Renault Zoe e la 500 elettrica prodotta a Torino da Stellantis. Nel range 21-60 g/km ci sono le auto plug-in hybrid, il che significa che hanno il motore endotermico, ma nello stesso tempo hanno la presa per essere caricate con l’elettricità. Di solito hanno 50-60 km di autonomia in versione elettrica. Le plug-in hybrid prodotte in Italia da Stellantis sono la Renegade e la Compass a Melfi. Nell’intervallo tra 61 e 135 g/km ci sono le auto definite full o mild hybrid (si tratta di auto ibride che non si possono però ricaricare con la corrente, è infatti il motore endotermico a caricare la batteria in fase di frenata, di solito hanno un’autonomia di 10-15 km in elettrico). Tra queste la Panda Ibrida prodotta a Pomigliano. Ma lo stesso intervallo comprende anche molte auto diesel, a metano o a benzina. Anche di grande cilindrata come le Maserati ibride Levante e Ghibli prodotte e Mirafiori. Ovviamente gli incentivi potrebbero essere legati alla rottamazione di auto, particolarmente di quelle più inquinanti.

Dallo studio emerge che la transizione della filiera alla mobilità elettrica è già realtà per molte imprese, ma per le aziende della componentistica è più lenta, in particolare per quelle di piccola e media dimensione. Ricerca e sviluppo e formazione delle risorse umane emergono come fattori fondamentali per la transizione. Andrea Bianchi, segretario generale del ministero del Lavoro, ha spiegato che sono allo studio strumenti specifici di cassa integrazione per favorire la mobilità dei lavoratori tra aziende e settori e l’uso della formazione.

“Se le misure si limitassero agli incentivi, allora non potremmo che rinnovare la richiesta di un incontro – dice il presidente di Federmeccanica Federico Visentin –. È urgentissimo infatti agire anche sull’offerta. Le imprese hanno bisogno di sostegno subito per affrontare un’onerosa e complessa riconversione. Con i sindacati abbiamo condiviso una prospettiva. A questo punto un confronto non rituale con il governo potrebbe essere utile al settore e al Paese”. Tra le ipotesi messe in campo dal governo c’è quella di agevolare le imprese tramite di contratti di sviluppo. “Il problema è che i contratti di sviluppo sono mirati soprattutto per le imprese medio-piccole nei territori svantaggiati. Ma anche le imprese medio-grandi del Nord hanno bisogno di supporto in questa fase – dice Gianmarco Giorda, il direttore di Anfia, l’associazione dei componentisti –. Servono strumenti utili anche alle medie imprese del Nord”.