REGIONE

Sanità, conti da codice rosso. Dritti verso il piano di rientro

Senza aiuti del Governo inevitabile il commissariamento per il 2023. Tolta la coperta dell'emergenza Covid compare un disavanzo attorno al miliardo. Entro una settimana i bilanci rivisti delle Asl. Intanto Cirio annuncia: "Ridurremo le liste d'attesa del 30% entro giugno"

Un miliardo di euro, forse addirittura qualcosa di più. È l’amaro viatico per la sanità piemontese verso il piano di rientro. Il ritorno al commissariamento, lasciato alle spalle nel 2017 dopo alcuni anni, sta proprio in quella cifra tutt’altro che campata per aria, bensì emersa dal lavoro di esperti di valutazione che operano per conto del ministero. 

I numeri che circolano nella direzione regionale della Sanità, retta da Mario Minola, sono decisamente inferiori (troppo, visto che ci sono aziende sanitarie che superano abbondantemente da sole i 100 milioni?), attestandosi attorno ai 300 milioni. Anche se così fosse il disavanzo condurrebbe ugualmente allo stesso punto: l’arrivo degli uomini del Mef e di Agenas in corso Regina, con conseguenti restrizioni per la sanità piemontese che, dopo oltre due anni di pandemia, sollevata la coperta del Covid si riscopre forse peggio, certo non meglio di prima per quanto riguarda i conti.

Poi ci sono sul groppone, come spiega il governatore Alberto Cirio, quegli oltre 450 milioni all’anno di debiti che, con i derivati, quest’anno supereranno il mezzo miliardo, sempre sul capitolo di una sanità che, pur sotto diverse amministrazioni di diverso colore politico, conferma di non saper uscire da un problema gestionale. Il baratro è parola risuonata più volte nelle riunione di venerdì scorso in corso Regina, quando lì sono arrivati tutti i direttori generali di Asl e Aso ai quali era stato chiesto di rivedere i bilanci preventivi per l’anno in corso, scritti stando troppo di manica larga. Entro il prossimo 21 marzo dovranno riproporli nella maniera più precisa e motivata possibile. Ma lo spazio di manovra delle aziende, pur estremamente necessario, non servirà ad evitare il commissariamento dal quale il Piemonte potrà salvarsi solo in un caso: un’iniezione corposa di risorse finanziarie da parte del Governo.

Sarà questo che, probabilmente, l’assessore Luigi Icardi chiederà domani al ministro Roberto Speranza nel corso dell’incontro con tutti i suoi omologhi delle altre Regioni. Molti di loro sono nelle stesse condizioni, ma non tutti. La Lombardia e il Veneto, per citare due Regioni del nord una delle quali, la prima, quasi sovrapponibile al Piemonte per numero di abitanti, il piano di rientro non hanno alcuna ragione per temerlo. Hanno più soldi in cassa, vero, ma non sono certo piovuti dal cielo, così come i debiti del Piemonte non sono una calamità di ignota origine. E poi il Covid non ha fatto differenze, colpendo tutti gli enti. Sta di fatto che nella rosa delle Regioni da prendere come benchmark per stabilire i prezzi standard ci sono proprio la Lombardia, il Veneto, L’Emilia-Romagna, l’Umbria e le Marche. Non il Piemonte. Per il quale, magra ma non trascurabile consolazione, il bilancio della Sanità 2021 riesce a chiudere in pareggio grazie ai fondi europei, i cosiddetti fondi Provenzano (dal nome dell’ex ministro), 210 milioni di prezioso ossigeno. 

Per l’anno in corso si guarda con speranza (in minuscolo e maiuscolo) al payback, ovvero  il versamento alle Regioni da parte delle aziende farmaceutiche degli importi corrispondenti ad una quota dell’1,83% del prezzo di vendita al pubblico dei propri medicinali dispensati a carico del servizio sanitario nazionale, ma anche queste risorse non basteranno ad evitare la strada verso il piano di rientro. 

Se poi si aggiunge la questione del personale sanitario, la necessità di confermare almeno una parte degli infermieri e operatori sociosanitari assunti con contratti a termine per l’emergenza Covid per tutti i quali i sindacati chiedono la stabilizzazione, i conti salgono ancora. Su questo punto la tensione con Minola è salita proprio nelle ultime ore. Cirio, così come Icardi, sono a dir poco irritati di fronte alla mancanza, da parte del direttore della sanità, di dati certi su quanti vanno operatori sanitari vanno in pensione, quanti ne occorrono e altro ancora. E domani in corso Regina c’è un ulteriore incontro con i sindacati. Da piazza Castello non si cela il nervosismo per l’assenza di un quadro chiaro su cui discutere con i rappresentanti dei lavoratori, tenendo ben ferma la barra verso i sanitari rispetto agli amministrativi, per ovvi ed evidenti motivi. 

La questione del personale incrocia quella non meno grave delle liste d’attesa. Oggi Cirio, insieme a Icardi, presenta il cruscotto, ovvero i dati aggiornati dei tempi che occorre aspettare per le varie prestazioni sanitarie, confrontando quelli del 2021 a quelli del 2018. Dal raffronto emergerebbe che non ci sarebbero grosse differenze, come se la sanità piemontese gravata dal Covid non abbia peggiorato i tempi di attesa rispetto a quando si era nella normalità, ma i disagi per i cittadini erano notevoli. Una frecciata alla giunta di centrosinistra. O, forse, la conferma che i mali della sanità attraversano i colori della politica senza trovare rimedio.

Oggi verrà presentata anche la variabile di produzione sanitaria, una sorta di pil che partendo da una sorta di anno zero fissato nel 2019 dovra guidare le azioni da declinare azienda per azienda. L’immancabile annuncio dell’abracadabra Cirio lo farà sulle liste d’attesa promettendo una loro riduzione del 30 per cento entro giugno e l’applicazione alle prenotazione del sistema usato per le vaccinazioni, con sms che indica data e luogo della visita o intervento in base al codice di priorità dell’impegnativa. 

Verrà anche presentata la platea di operatori della sanità privata che hanno risposto all’appello della Regione che, su questo aspetto, ha messo sul tavolo 50 milioni di euro. Il governatore elencherà anche le prime dieci migliori prestazioni, sotto il profilo dei tempi di attesa, e le dieci peggiori. Non solo per tipologia, ma anche per collocazione territoriale. Insomma una pagella per Asl e Aso, nella cui storia recente non si ricorda un direttore bocciato, neppure rimandato a settembre. Mentre la sanità piemontese, con i conti in profondo rosso, va dritta verso un nuovo piano di rientro.

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