POLITICA & SANITÀ

Post Covid, il destino delle Usca: "Servono per le cure domiciliari"

Prorogate fino a giugno, le unità speciali potrebbero diventare organiche alla medicina territoriale. Icardi: "Utili per le cronicità". Barillà (Smi): "Serve un progetto chiaro per ridurre le difficoltà delle guardie mediche". Il nodo è sempre nei costi

Continueranno a svolgere il loro lavoro ancora per tre mesi dopo la fine dello stato di emergenza, ma più di una Regione, tra cui il Piemonte, auspica che le Usca entrino di fatto a far parte in maniera strutturale del sistema sanitario. L’acronimo sta per unità speciali di continuità assistenziale, ben presto entrato nel vocabolario della pandemia, ma che molto più concretamente indica l’innovazione forse più importante apportata alla medicina del territorio, grande malata cronica su quasi tutto il territorio nazionale, fin dai primi tragici mesi della diffusione del Covid.

Composta da un medico e un infermiere, talvolta due, ogni unità ha coperto e continua a farlo, pur se in maniera meno pressante, una parte della sanità territoriale altrimenti scoperta. Le visite a domicilio delle persone colpite dal virus, la loro presa in carico e il monitoraggio, in stretto rapporto con i medici di famiglia che nelle varie ondate non sarebbero riusciti a fornire una risposta adeguata nei numeri a una domanda che più volte a raggiunto picchi enormi.

Con la fine dello stato di emergenza e il calo dei casi gravi, il destino delle Usca e dei professionisti assunti con contratti a termine o libero professionali parrebbe segnato. Ma non è affatto detto che il 30 giugno, data fissata nel decreto varato l’altro ieri dal Governo, questo servizio scompaia. Un segnale lo si coglie già nel non aver fatto coincidere l’uscita di scena delle Usca con la fine dello stato di emergenza come invece accadrà per organismi quali la struttura commissariale guidata dal generale Francesco Paolo Figliuolo o lo stesso Comitato Tecnico Scientifico, ma anche scendendo sul piano regionale all’Unità di crisi. Una decisione che risponde alla richiesta arrivata dal coordinatore della commissione Salute in Conferenza delle Regioni Luca Coletto che aveva aperto il varco proprio in veste di assessore alla Sanità dell’Umbria.

A perorare la causa del mantenimento in pianta stabile delle Usca, non limitandone l’utilizzo per il Covid è proprio il predecessore di Coletto e attualmente suo vice vicario, Luigi Icardi. “Senza dubbio le Usca sarebbero molto utili anche per attuare quella medicina domiciliaria che il nuovo decreto 71 prevede, così come un utile strumento per una risposta più appropriata nella cura delle cronicità”, spiega l’assessore regionale. Le circa 90 Usca distribuite su tutto il territorio piemontese, passerebbero dalla prima linea contro la pandemia sul territorio a un ruolo non meno importante, considerando che i due anni di pandemia e il rallentamento se non il blocco di molte attività sanitarie hanno prodotto e produrranno conseguenze pesanti su moltissimi altre patologie, per forza di cose trascurate.

A un utilizzo strutturale delle unita speciali di continuità assistenziale si dice favorevole anche Antonio Barillà, segretario regionale dello Smi, uno dei sindacati dei medici di famiglia. “Bisogna ragionare bene su come impiegare queste risorse professionali, ma certamente potrebbero risultare estremamente utili, per esempio, a fronte – spiega il sindacalista – delle grandi difficoltà del servizio di guarda medica, ma anche per le cronicità, ovviamente in stretto rapporto con i medici di medicina generale”.

Anche se dal ministero ancora non è arrivata una risposta alle istanze, molto lascia supporre che le Usca potrebbero essere riconvertite rispetto al loro utilizzo, sempre che in autunno il Covid non rialzi la testa. E, non di meno, sempre che ci siano le risorse finanziarie necessarie. “Considerata l’entità del finanziamento nazionale per le Usca, il costo atteso per il 2022 dovrà essere inferiore come ipotesi iniziale stante l’attuale quadro epidemiologico al 35% del costo 2021”. Questo scriveva la direzione regionale della Sanità ai vertici delle Asl lo scorso 28 febbraio. Alcuni giorni dopo il direttore regionale Mario Minola, a fronte dell’enorme disavanzo previsto nei bilanci per l’anno in corso tale da portare verso il piano di rientro nel 2023, avrebbe chiesto di ridurre ulteriormente la spesa. 

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