RETROSCENA

Spie "sanitarie" di Putin bloccate prima dell'arrivo in Piemonte

Nella primavera del 2020 la Regione chiese l'aiuto della task force "per sanificare le strutture". L'operazione saltò per l'intervento dell'intelligence italiana. I fortissimi sospetti sul reale scopo della missione composta più da militari e agenti segreti che da medici

Dalla Russia con amore verso il Piemonte, se qualcuno non li avesse fermati. La missione di aiuto inviata da Vladimir Putin nell’Italia sconvolta tragicamente dalla prima ondata del Covid, dopo la massiccia operazione attuata nella Bergamasca era pronta a spostare in Piemonte una parte considerevole di quegli uomini e quei mezzi che già all’epoca sollevarono più di un dubbio e un giustificato allarme oggi in odore di certezza circa la traduzione in concreto del richiamo cinematografico: un’operazione di spionaggio.

Appena un mese dopo l’arrivo a Pratica di Mare di ben 14 aerei militari riempiti di mezzi, apparecchiature, uomini, financo topi da laboratorio, scenograficamente incolonnati in corteo verso la Lombardia, dall’Unità di Crisi della Regione parte la richiesta di aiuto russo, “per dare supporto nella sanificazione delle strutture maggiormente colpite”. 

Le immagini degli automezzi che arrivano e si muovono nell’area della Lombardia dove altri autocarri, quelli dell’esercito italiano, dovranno portare altrove i morti di Covid perché lì non c’è più posto, inducono i vertici dell’emergenza piemontese a chiedere aiuto anche ai russi, oltre che ai cubani che però mandano solo medici e infermieri anziché militari d’alto grado e figure che è difficile non annusare come agenti dei servizi segreti del Cremlino. Cosa che fecero, fin dall’arrivo a Pratica di Mare, i vertici delle nostre Forze Armate e la nostra intelligence che si mise subito a marcare stretti i russi. “Fummo sorpresi, io per primo, dal dispiegamento di mezzi che scendevano dagli aerei russi”, ricorda due anni dopo al Foglio l’allora Capo di Stato Maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli.

Il via all’operazione è dato da un colloquio telefonico tra l’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte e Putin, i costi tutti a carico dell’Italia sono tutt’ora secretati. L’intento di utilizzare la missione sanitaria a fini di spionaggio e di operazioni che nulla hanno a che vedere con gli aiuti umanitari, sono evidenti fin dal primo momento ai nostri Servizi. “Provarono a fare anche altro – conferma Vecciarelli – ma noi glielo impedimmo”. Ecco perché i “sanitari” russi non arriveranno mai in Piemonte dove l’intenzione – del tutto motivata dalla situazione più che drammatica di quelle settimane – era di impiegarli per sanificare le Rsa, ma forse anche altre strutture, a partire da alcuni ospedali. 

Un altro aspetto della missione russa su cui oggi si concentra l’attenzione del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che sta per chiedere l’audizione dell’ex premier Conte, tocca incidentalmente (ma non del tutto) il Piemonte. Gli alti gradi militari russi premevano per sanificare le strade, magari facendo circolare anche veicoli come lo strano furgone zeppo di apparecchiature elettroniche negato ai controlli a Pratica di Mare. Ma ecco che proprio Arpa Piemonte, involontariamente, pone un ostacolo ai fermi proposito dei generali di Putin: “L'operazione non è ritenuta efficace nella lotta al Covid-19 e consideriamo questa pratica dannosa per l'ambiente e quindi il nostro parere non può essere positivo”. Niet, niente candeggina sull’asfalto a mascherare le scorrazzate dei mezzi russi per ben altri scopi.

“Sì, ricordo quella richiesta di aiuto fatta attraverso la struttura commissariale nazionale, come tante altre in quella situazione”, dice oggi l’assessore regionale alla Protezione Civile Marco Gabusi. Richiesta che non venne mai esaudita e che, sempre in quella situazione drammatica, pochi o nessuno di curò di saperne la ragione. Eppure pochi giorni prima, il 24 aprile di due anni fa la Regione confermava la notizia data dall’ambasciatore russo in Italia Serghei Razov, riportato dall’agenzia di stampa di Mosca Interfax: “Alla luce delle esigenze emerse nel territorio piemontese è stato chiesto in particolare l'invio di unità che possano dare supporto nella sanificazione delle strutture maggiormente colpite”.

La notizia viene rilanciata da tutti i canali di informazione russi, così come la parata di automezzi, un mese prima, da Pratica di Mare a Bergamo. Il Piemonte è la seconda regione nei programmi della task force di Putin. C’è anche la Puglia, ma la richiesta partita da Torino è anche logisticamente prioritaria. 

Come detto, i dubbi sulla reale natura della missione e i rischi non sono sconosciuti, ma sul piatto della bilancia c’è un’emergenza che nessuno sa bene come affrontare e ogni possibilità di aiuto non può essere trascurata, anche se negli enormi cargo atterrati all’aeroporto militare non c’è neppure uno scatolone di mascherine e i ventilatori polmonari si riveleranno non utilizzabili. Però ci sono tanti militari, i medici solo meno di un terzo di tutto il personale, ci sono apparecchiature che non servono ad aiutare la nostra sanità, ci sono pure i topi da laboratorio. Ce n’è d’avanzo per far irritare il Dipartimento di Stato americano e per far drizzare le antenne alle agenzie di intelligence italiane. C’è troppo per fermare, forse in tempo chissà, la missione, ringraziare i russi e dir loro che basta così. Mentre già si preparavano per passare dalla Lombardia al Piemonte.

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