SACRO & PROFANO

Clero diviso e parrocchie spente, la controversa eredità di Nosiglia

La sua è stata una solitudine che lo ha reso quasi impotente e anche la sollecitudine quotidiana sulle questioni sociali, dove si è speso generosamente, ha "camuffato" i nodi che travagliano la diocesi. La sudditanza alle teorie gender friendly

Il saluto d’addio pronunciato dall’arcivescovo Cesare Nosiglia durante la Messa crismale del Giovedì Santo davanti al presbiterio riunito, non ha riservato sorprese e neppure ha destato la commozione del clero. È stato anche un bilancio che ha passato in rassegna tutte le iniziative dei suoi dodici anni alla guida della diocesi e dove sono state messe in luce le premure riservate ai problemi sociali e del lavoro. Non sono mancati i richiami alla comunione con un significativo e non scontato richiamo a Pastores dabo vobis, l’esortazione al clero di Giovanni Paolo II e che Nosiglia ha voluto lasciare «come meta fondamentale della vostra vita sacerdotale». In essa si parla dell’«ascetica della comunione» che sola potrà «condurre all’unità la molteplicità dei fedeli a lui affidati».

In effetti, il problema rimane questo, quello della divisone del clero che si riflette nei fedeli e che l’episcopato di Nosiglia non ha saputo affrontare pur avendo una conoscenza perfetta delle varie «sensibilità» – eufemismo per dire contrapposizioni – e delle dinamiche in atto. Pupillo del cardinale Camillo Ruini, la sua venuta a Torino aveva suscitato grandi speranze. Come ha ben indicato, la radice e il proprium della santità sacerdotale è «l’unione a Cristo e alla Chiesa mediante l’unione ai confratelli nell’unicum presbiterium diocesano». Un problema che Nosiglia lascia irrisolto al suo successore. Come alcuni dicono, anche sul piano personale, il suo tratto non è mai stato né confidente né cordiale. La sua è stata una solitudine che lo ha reso quasi impotente e anche la sollecitudine quotidiana sulle questioni ad extra, dove si è speso generosamente, avrebbe – secondo l’ala progressista espressa dagli autori del recente libello Lo scisma emerso – semplicemente «camuffato» i nodi che travagliano la diocesi. Così pure, la reale solitudine dei preti sui quali ha messo giustamente l’accento, rinvia alla sua identità dove, come è noto, le opinioni divergono e non sarà risolta dalle mitizzate unità pastorali. Oggi le comunità parrocchiali sono come avvizzite mentre – per motivi anagrafici – stanno venendo meno quei laici poco inclini ai dibattiti ma più impegnati nella pastorale e sui quali i parroci potevano contare. Non sono mancati nell’omelia di Nosiglia i ringraziamenti, in primis al vicario generale monsignor Valter Danna che, paradossalmente, ne ha condiviso la sorte. Per il primo la mancata porpora, per il secondo il mancato episcopato.

È stata diffusa a tutti i preti dell’orbe cattolico dal prefetto della congregazione del clero e dal segretario generale del sinodo dei vescovi una accorata lettera sulla preparazione al grande evento al quale papa Francesco ha chiamato tutto il Popolo di Dio e cioè il sinodo sulla sinodalità. Si tratta di un monito in merito ai pericoli che tale evento può produrre nel corpo ecclesiale e lungo è il suo elenco. Si paventa che il cammino sinodale si trasformi in una occasione per formalismi, finte adesioni, inutili documenti, individualismo, autoreferenzialità, intellettualismi, immobilismi. Insomma, un percorso pieno di insidie ma anche l’enumerazione di atteggiamenti che già si sono manifestati nel convocare a raccolta i fedeli per rinnovare con il sinodo la Chiesa e il linguaggio con cui annunciare il Vangelo. Fra tanti richiami all’«eguaglianza fondamentale di tutti i battezzati», si torna a ribadire il «peculiare carisma dei ministri ordinati di servire, santificare e animare il Popolo di Dio» che, tradotto dal “clericalese”, è un esplicito invito ai preti a prendere in mano la situazione onde evitare derive assemblearistiche o fughe in avanti. Su tutto aleggia il caso del sinodo tedesco, fonte di gravi preoccupazioni per il papa. La sensazione che il denso documento produce è quello di un cammino sinodale ridotto ad una sorta di Stati generali, incagliato nelle secche dei pericoli da cui mette in guardia e in cui si sperimentano tutti i limiti e i difetti di una Chiesa che sembra avere perso l’orientamento. Come è stato notato: «Negli anni precedenti il mantra era “lo dice il Concilio” ma ora si è passati “alla sinodalità”. Cosa ci sia scritto nei documenti del Concilio però nessuno lo sa e il concetto di sinodalità non è chiaro a molti. Come ricordava Benedetto XVI ai parroci di Roma nel suo ultimo incontro, due sono stati i Concili che si sono celebrati dal 1962 al 1965. Uno mediatico e uno reale. La maggior parte delle persone che parlano del Concilio oggi conoscono solo il primo».

Il gran clamore suscitato dal caso  della cresima richiesta da una donna diventata uomo ha messo in evidenza un nervo scopertissimo dell’antropologia cristiana ma che ha stupito soltanto coloro i quali  – per fortuna sono ancora molti – non sono adusi ai dibattiti intraecclesiali. Il vero problema è infatti il concetto di persona umana che, svincolato da quello di natura umana, apre a ogni soggettivismo per cui «sentirsi cristiani» non equivale necessariamente ad esserlo. Così anche per i battezzati la condotta personale non è in alcun caso irrilevante, altrimenti diventerebbe irrilevante la libertà umana. Secondo le teorie gender friendly il cristianesimo è superato e compreso nel suo spirito di fraternità e accoglienza verso tutti mentre la questione è altra: se sia possibile una vita retta e aperta alla verità di Dio proprio rinnegando e manipolando la verità del proprio corpo. Che su questi semplici punti di dottrina – ancora ultimamente ribaditi dal magistero della Chiesa – al di là della buona fede di ogni attore della vicenda, del buono spirito dei sacerdoti e delle puntualizzazioni del cancelliere, alcuno abbia avuto l’ardire di elevare la sua voce la dice lunga sullo stato di sudditanza della cultura cattolica al pensiero dominante che è poi quella «dittatura del relativismo» evocata da Benedetto XVI come il vero pericolo per la fede.

Durante la celebrazione della Passione presieduta dal papa nella basilica vaticana, il predicatore della Casa Pontificia, il cardinale Raniero Cantalamessa ha così offerto la sua meditazione riferendosi alle parole di Pilato rivolte a Gesù: «Che cos’è la verità? Oggi si va oltre lo scetticismo di Pilato. C’è chi pensa che non si deve neppure porre la domanda perché la verità, semplicemente non esiste! “Tutto è relativo, nulla è certo! Pensare diversamente è intollerabile presunzione!”. Non c’è più spazio per “le grandi narrazioni sul mondo e sulla realtà”, comprese quelle su Dio e Cristo”. […] “Tutto passa, tutto invecchia; tutto viene meno. C’è un solo modo di sottrarsi alla corrente del tempo che trascina tutto dietro di sé: passare a ciò che non passa! Mettere i piedi sulla terra ferma! Pasqua significa passaggio: passiamo a Colui che non passa. Passiamo con il cuore, prima di passare con il corpo!».