Di Tne ne basta (e avanza) una

Entrando nell’agenzia “Grand Tour” il viaggio che desideravo fare era sulle orme dei celebri viaggiatori come Montaigne, Stendhal, Goethe che raggiungevano il “paese dei limoni” scrivendo diari, relazioni o vere e proprie guide per illustrare i loro itinerari. Ma anche seguendo le tracce agresti di Mario Soldati e invece mi propongono una processione, triste e datata, con il giro delle aree dismesse di Mirafiori. No, grazie! Film già visto almeno una decina di anni fa, sempre proposto dagli stessi “organizzatori”.

C’è un’abitudine intrinseca in una parte di cultura sindacale a riproporre il vecchio, a viaggiare con la testa rivolta all’indietro, a pensare che occorra produrre volumi ormai irraggiungibili con la nostalgia di un passato improponibile rispetto all’evoluzione dell’auto.

Torino non riesce a staccarsi da un provincialismo storico che negli ultimi vent’anni ha accumulato solo sconfitte. E c’è un certo sindacalismo che è interprete di questo modus operandi provinciale e conservatore (“S’è sempre fatto così”). Poche idee e pure confuso che tuttavia godono di un’immotivata credibilità nel mondo imprenditoriale, borghese, giornalistico, molto più che tra gli stessi operai.

Modelli sindacali e politici che sono sempre stati sistematicamente sconfitti, dal sostegno del No al referendum del gennaio 2011 su Mirafiori all’idea di vendere l’Alfa ai tedeschi facendo chiudere tre stabilimenti Fiat in Italia. E poi ci sono state le sbandate politiche, a partire da quelle verso il Movimento 5 stelle, in cui la sinistra sindacale – assieme alla Lega – ha favorito il successo di un partito che è coinciso con la sconfitta di Torino e dei torinesi, congelando per cinque anni ogni ipotesi di sviluppo di questo territorio.

Non c’è mai una riflessione storica su questa città, basta che si rilancino vecchie ricette come l’idea del riutilizzo delle aree dismesse di Mirafiori o la riesumazione di un progetto fallimentare come Tne, che subito si apre il dibattito, anziché liquidare la proposta come improbabile e vecchia.

Nei giorni scorsi ho già detto che riproporre ciò che non ha funzionato non mi sembra un’idea né nuova, né brillante e mi pare che anche lo stesso Bernardino Chiaia, professore del Politecnico e amministratore unico di Tne, ricordando che è una società che stava fallendo, non abbia un giudizio lusinghiero anche se nel tempo alcune vendite di lotti si sono realizzate.

Vorrei però citare uno dei protagonisti dell’epoca come il professore della Bocconi e storico, Giuseppe Berta, che nel libro “Chi ha fermato Torino” scrive, dopo avere illustrato la nascita di Tne che “erano ipotesi illusorie, come constatammo non appena provammo a invitare qualche imprenditore che voleva ampliare i suoi impianti a considerare quei suoli. La Legge impediva di vendere terreni a un prezzo inferiore a quello pagato per la loro acquisizione e le valutazioni di estimo erano state generose, di sicuro troppo, se l’obiettivo doveva essere l’attrazione delle imprese, che individuavano facilmente delle alternative vantaggiose sul piano dei costi nell’hinterland torinese. I fautori di Tne si accorsero ben presto dell’ingenuità e dell’ottimismo che avevano indotto a ritenere possibile una soluzione poco praticabile”.

Insomma, riproporre una nuova Tne è davvero stucchevole ma ancora più stucchevole è che si dia retta a simili suggestioni che arrivano da chi ha inanellato sconfitte su sconfitte, a livello sindacale e politico.

È possibile rilanciare Torino e la sua industria se guardiamo a ricette nuove, ai nuovi lavori e settori che si affacciano nell’industria (e non solo) come il comparto sempre più ampio, anche in Stellantis, della logistica. Al riciclo del rifiuto trasformandolo in nuovi prodotti che, come sta progettando la Zona Nord-Ovest, può diventare una vera e propria filiera industriale dalla ricerca alla produzione creando nuovi posti di lavoro e professionalità.

Torino non tornerà mai a produrre duecentomila vetture, bisogna avere il coraggio di dirselo, realisticamente, ma se per Stellantis Mirafiori può diventare davvero il cuore pulsante del futuro dell’automotive con tutta la filiera dell’elettrico, allora Torino deve “offrire” le condizioni sociali, sindacali, logistiche, infrastrutturali e dei servizi perché ciò accada, anche fidelizzando aziende dell’indotto che completino il processo produttivo e/o ingegneristico. L’intreccio pubblico-privato è essenziale per rilanciare Torino e Mirafiori ma come ha detto il Professor Berta “senza ingenuità” del pubblico.

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