GIUSTIZIA

Porto di Imperia, atto finale

La Corte d'Appello di Genova conferma il fallimento della società e l’insolvenza fin dalla revoca della concessione demaniale. Sfida fra professionisti (e pm) tutti torinesi: dopo la Cassazione e il rinvio in appello, i curatori Ambrosini e Ferrari Loranzi (assistiti da Jorio) battono l’avvocato Napoli due a zero

Con una lunga e articolata sentenza depositata qualche giorno fa la Corte d’Appello di Genova mette la parola fine alle traversie giudiziarie del Porto di Imperia, a distanza di circa otto anni da quando il tribunale aveva nominato prima commissari e poi curatori due noti professionisti torinesi, Stefano Ambrosini e Filiberto Ferrari Loranzi.

Nella città oggi nuovamente governata da Claudio Scajola la designazione di due curatori “estranei al contesto” aveva subito destato qualche preoccupazione, specie tra chi – imprenditori e professionisti del Ponente ligure – avevano avuto qualche coinvolgimento nella vicenda, che aveva visto come protagonista Francesco Bellavista Caltagirone, cugino del più noto immobiliarista romano da poco reduce dallo smacco della fallita scalata a Generali. E infatti Ambrosini e Ferrari hanno fatto causa a parecchi fra ex amministratori e sindaci, fra cui l’erede della dinastia Carli, un tempo leader nel mercato dell’olio.

Probabilmente anche per questo la società aveva impugnato il fallimento con l’avvocato torinese Mario Napoli (già presidente del Consiglio dell’Ordine subalpino), sentendosi dare ragione in prima battuta dai giudici genovesi per un vizio procedurale dell’istanza della Procura. Decisione poi ribaltata dalla Cassazione, che aveva accolto la tesi dei curatori, assistiti da Alberto Jorio. Adesso la nuova doccia fredda per Napoli è arrivata dai giudici di Genova, che hanno stabilito l’insolvenza della società fin da quando venne revocata la concessione demaniale per l’attività portuale.

È il secondo “risultato utile” in pochi mesi per Ambrosini in quel di Imperia, dopo che il tribunale ha revocato il concordato di Rivieracqua, società idrica a partecipazione pubblica, proprio su segnalazione del professore torinese in qualità di commissario (nominato circa un anno e mezzo fa dal tribunale) e nonostante il parere più soft espresso dalla Procura imperiese, rappresentata in quell’occasione da un altro torinese, il pm Lorenzo Fornace. In quel caso però la società non è fallita e il provvedimento di revoca, a dispetto di qualche polemica dei suoi vertici sui giornali, non è poi stato impugnato.

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