SANITÀ DEL FUTURO

In ambulatorio e pure sul territorio.
Medici di famiglia, si cambia (forse)

Gli ex dottori della mutua dovranno impiegare una parte dell'orario nelle case di comunità. Respinta la richiesta delle Regioni di trasformarli in dipendenti. Sindacati ancora sulle barricate. Icardi: "Riforma necessaria per far funzionare strutture previste dal Pnrr

Un impegno da dividere pressappoco a metà tra studio dove continuare a visitare gli assistiti e i servizi dell’Asl, in particolare nelle case e negli ospedali di comunità. È la prospettiva che sta prendendo forma per un nuovo e diverso ruolo dei medici di famiglia. Una riforma né semplice, né priva di ostacoli e resistenze quella che, già avviata in un confronto tra Regioni, Governo e rappresentanze sindacali dovrebbe compiere un ulteriore passo entro luglio con una norma-cornice nazionale entro la quale dovranno poi operare le singole Regioni cui spetta la stesura e la sottoscrizione dei contratti con i medici di medicina generale.

L’ipotesi sui cui per conto della Conferenza delle Regioni hanno lavorato fin dallo scorso dicembre il coordinatore della commissione Sanità Raffaele Donini, il suo vicario Luigi Icardi e l’altra vice, l’assessore lombardo Letizia Moratti, prevede l’introduzione, per i medici di famiglia (e in futuro anche per i pediatri di libera scelta) di un orario settimanale di 38 ore, di cui 20 dedicate all’ambulatorio e 18 ai servizi dell’azienda sanitaria locale, con una decisa proiezione verso le case di comunità, insieme agli ospedali di comunità cardini della riforma delle medicina territoriale prevista e finanziata dal Pnrr.

Non è certo questa la soluzione auspicata e inizialmente indicata dalle Regioni che puntavano, invece, alla trasformazione del rapporto di lavoro dei medici di famiglia dall’attuale convenzione con liberi professionisti a una dipendenza a tutti gli effetti dei camici bianchi che operano sul territorio. “Si era prospettata, insieme o in alternativa al rapporto di dipendenza anche la soluzione dell’accreditamento sul modello di ciò che accade da tempo con le strutture sanitarie private, ma le resistenze sono state, come prevedibili, molto forti e quello raggiunto possiamo definirlo un compromesso”, spiega l’assessore alla Sanità Icardi.

Un compromesso che mantiene lo status di liberi professionisti in convenzione per i medici, ma fissa ulteriori ruoli più “organici” al sistema della medicina territoriale. La riforma per poter essere calata sul terreno, tuttavia, ha bisogno di ulteriori passaggi come quelle necessari per apportare modifiche alla legge Balduzzi, da qui la norma prevista entro l’inizio dell’estate. Ma anche a quel punto la strada sarà tutt’altro che compiuta. Eliminata l’ipotesi di una dipendenza tout court dal servizio sanitario, per i medici di famiglia attraverso le loro rappresentanze sindacali permane un. Atteggiamento fortemente critico, se non apertamente contrario, a quello che viene considerato un rapporto di parasubordinazione, per la parte che riguarda il loro impiego nelle strutture delle Asl. 

“Bisogna discutere ancora molto a fondo tutta la questione”, premette Antonio Barillà, segretario regionale del sindacato Smi, che prefigura “l’impossibilità di applicare queste regole ai medici di famiglia che già lavorano da tempo e per i quali, quasi sempre con la quota massima di assistiti, sarebbe estremamente difficile se non impossibile togliere una parte di tempo alla loro attività per andare a lavorare nelle case di comunità o in altri servizi”.

Si preannuncia, insomma, anche nel prossimo livello regionale cui giungerà il dossier nel giro di qualche mese più di una difficoltà, con da una parte la Regione che ha necessità di preparare gli organici professionali per le strutture territoriali e dall’altra i medici di famiglia che, in una situazione di profonda carenza diffusa di colleghi, possono esercitare veti o tenere posizioni in altre circostanze più facilmente superabili. “Lo schema che sostanzialmente prevede un’ora di ambulatorio per ogni cento assistiti contiene anche un aspetto importante per i futuri medici di famiglia, perché questi prenderanno lo stipendio pieno come col massimale di assistiti. Ci darà il grande vantaggio di vedere coperte anche quelle zone oggi poco appetibili per scarsità di mutuati e nel contempo si forniranno risorse professionali ai servizi sul territorio”, spiega Icardi. 

Le strutture previste dal Pnrr dovranno essere completate e funzionanti entro il 2026, “ma mi auguro che non si debba attendere quel termine e che le case di comunità siano pronte ben prima”. Nel frattempo in corso Regina si studia come poter impiegare, nelle fase transitoria, la quota di orario dei medici di famiglia riservata al territorio. Sempre che la riforma, contestata fin dall’inizio dai sindacati, non si areni. Magari già a Roma, portata in secca da correnti di interessi di categoria.

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